L’immane tragedia di Lampedusa, che difficilmente concluderà la sequela di morte nel mediterraneo, ci ha messo di fronte alle nostre responsabilità, alla nostra colpevole indifferen-a, alle nostre leggi sbagliate, agli egoismi della nostra Europa. Ma ci ha messo di fronte anche ai grandi, sconvolgenti cambiamenti di questo tempo. Mai la storia è stata così accelerata. Mai la politica degli Stati così impotente, fra trasmigrazioni bibliche, guerre senza fine, dominio della finanza, povertà assolute.
Eppure mai l’uomo ha avuto tante potenzialità come oggi, tante opportunità, tante ricchezze materiali e non. Siamo davanti a forme inedite di schiavitù, di dominio dell’uomo sull’uomo, anzi del denaro, delle cose, sull’uomo. Ma al tempo stesso abbiamo le conoscenze, gli strumenti, le risorse per migliorare la vita delle persone e delle comunità. Anziché distruggerla, potremmo partecipare a un ampliamento della creazione.
È qui il compito di una sinistra degna di questo nome. Dare battaglia lungo il crinale dei nuovi poteri, delle disuguaglianze più tremende, delle sottomissioni che portano alla morte, e della politica che invece può redistribuire occasioni di vita, di solidarietà, di progresso. Dare battaglia lungo questo crinale vuol dire oggi anzitutto misurarsi con i nuovi paradigmi, le nuove lingue, le forze reali che si contendono la supremazia. È la sola politi- ca per cui vale la pena battersi. E non è vero che cambiare è impossibile, che la globalizzazione ha reso inutile finanche la democrazia, che i poteri residui sono ormai soltanto corruzione.
Questo vogliono farci credere. Per costringerci ad alzare le mani. Per metterci paura, per spezzare le reti di fraternità umana e di solidarietà sociale. Il potere, quello che abbandona gli Stati nazionali e si trasferisce altrove, ha bisogno di individui soli davanti al mercato, soli davanti alle tv e ai computer. Ha bisogno che non ci siano comunità. Perché l’individuo da solo non può cambiare le cose: può farlo la persona inserita in un corpo sociale.
L’individualismo è la cultura della disgregazione. L’egoismo ne è il riflesso nella paura. La sinistra, quando ha prodotto cambiamenti reali, ha creato «società». E questo resta il tessuto di ogni cambiamento possibile. Nella lotta come nella composizione degli interessi.
L’Europa è oggi per noi la dimensione politica necessaria per interagire nel mercato globale, tuttavia ciò non vuol dire che la vera politica sia solo quella che viaggia sopra le nostre teste. Al contrario la politica comincia dalle nostre comunità. Ad esempio, lo strazio dei morti di Lampedusa ci obbliga a fare le scelte che competono a noi: stracciare la Bossi-Fini, abolire il reato di clandestinità, rispettare il diritto d’asilo, promuovere con gli altri le politiche europee di immigrazione, darci una legge dignitosa sulla cittadinanza. Certo, tutto ciò non basterà a salvare le moltitudini che muovono dalla disperazione. Ma, se si vuole cambiare, ognuno deve fare la sua parte. A partire dai comportamenti quotidiani, dalla cultura che si trasmette ai figli, dal linguaggio che si usa per strada.
Dobbiamo riconquistare la politica. Perché stracciarla, gettarla al macero come gesto di ribellione, alla fine azzera il nostro stesso potere di cittadini. Porta all’esaurimento della democrazia, surrogata da pifferai e da populismi senza solidarietà. Ma, ancor più che nel passato, ora è necessaria una coerenza tra comportamenti personali e rivendicazioni ideali. Nessuno è più disposto ad accetta- re l’ipocrisia o il privilegio del potere.
C’è chi dice che la politica è pragmatismo.E il pragmatismo è stato spacciato a lungo come l’antidoto delle vecchie ideologie. Ma proprio la divaricazione tra radicalità e pragmatismo, alla fine, ha spezzato la sinistra. L’ha indebolita, in Italia come in Europa. Bisogna ritrovare l’unità, almeno l’amicizia, tra valori e politiche concrete. È un’impresa difficile, ma speriamo che il congresso del Pd non eluda il tema. In questo tempo di sconvolgimenti non si può separare la politica, rimpicciolendola, dalle nuove questioni sociali e antropologiche che interrogano la nostra umanità.
Solo una sinistra che riprende coscienza di sé può rimettersi alla testa di una battaglia storica. Solo una sinistra che alza la testa, peraltro, può affrontare questa complicata fase di transizione in Italia. Il governo Letta, nei giorni scorsi, ha guadagnato il passaporto per il 2015: ma la partita nella destra è aperta e il dopo-Berlusconi indeterminato. Solo una sinistra più forte può guidare questa transizione. Solo con valori e ideali forti si può dare un senso ai piccoli passi (e agli affanni) di oggi. Il governo Letta, come ogni governo, resta un terreno di battaglia. L’avamposto da conquistare sono le ragioni della battaglia.
L’Unità 06.10.13