Molti di noi hanno letto sui giornali in merito a diverse iniziative autonome sull’educazione sentimentale a scuola. Tra gli emendamenti al Decreto contro il Femminicidio, inoltre, ce n’è uno che riguarda proprio la proposta di inserimento dell’ “educazione sentimentale” a scuola come insegnamento autonomo. Iniziative apprezzabili nelle intenzioni ma da valutare con estrema cautela. Da quando i sentimenti possono essere oggetto d’insegnamento curriculare?
Aderisco alla lettera inviata da Graziella Priulla, docente di questioni di genere, presso l’Università di Catania richiamando riflessioni e attenzione su un tema così delicato.
Che vuol dire “educazione sentimentale”? Chi la insegna? In base a quale formazione professionale, seguendo che curriculo scolastico, quale metodo, quali contenuti? Con che criteri? Di tipo disciplinare, pedagogico, didattico, psicopedagogico,..?
Negli altri paesi, riguardo l’educazione di genere, come è più corretto individuarla e definirla, non “educazione sentimentale” bensì di genere, le politiche scolastiche distinguono correttamente vari ambiti e azioni: quello dell’educazione sessuale, condotta da personale medico-sanitario, l’educazione di genere, che ha un contenuto metodologico-scientifico-culturale condotta da insegnanti disciplinari, cioè con un programma definito ministerialmente in un insegnamento specifico, oppure l’attività trasversale interdisciplinare che attiene a tutti gli insegnamenti in merito alla rimozione di stereotipi o linguaggi sessisti, condotta direttamente dagli insegnanti, formati e sensibilizzati.
Dunque l’educazione di genere più in generale può essere o un insegnamento specifico o una declinazione dell’educazione al rispetto e al riconoscimento dell’altro, con una sensibilizzazione specifica verso la consapevolezza di genere, che permea tutta la metodologia didattica, non un insegnamento specifico. In entrambi i casi comunque interferisce con estrema cautela col delicatissimo ambito della formazione dei sentimenti di un/a ragazzo/a in crescita se non come riflesso culturale.
E da noi? Dopo anni di assenza di interesse e riflessioni collettive o della politica intorno alle tematiche educative di genere ci sembra che ci sia una tendenza opposta, la iper attenzione, che, anche se la salutiamo con soddisfazione, senza un adeguato approfondimento preventivo dal punto di vista metodologico, scientifico e di metodo rischia di creare equivoci e confusione, se non danni.
Mi pare che ci si stia accodando al boom di sensibilizzazione tirandoci dentro la scuola senza nessun approfondimento serio e specifico, pur essendo la scuola il terreno principe dell’educazione e delle educazioni. Intanto non abbiamo chiaro nel dibattito attuale, e il caso Barilla ne è un esempio, se le questioni di genere debbano esplicarsi in riflessioni sui processi culturali o morali e qual è il confine tra le riflessioni “morali” o “sentimentali” e la “libertà”.
Qual è il confine tra “al di qua” e “al di là” di un complesso educativo/comportamentale “etico collettivo” che qualcuno di noi è in grado di sostenere o condividere o trasferire? Siamo alla moralizzazione dei sentimenti? Alzi la mano chi è in grado di praticarla e, ancor più, di “insegnarla”. No? Stiamo parlando di altro e io non ho capito? Qualcuno mi spieghi. Se ne è in grado. Dunque complessità e dubbio. Non mi pare che siano ambiti da “vengo e ti spiego”.
Ancor più difficile diventa il terreno di riflessione e di confronto se tutto ciò, se l’indistinto, il confuso, il dubbio, diventa materia di studio, come una disciplina culturale specifica e se trasferiamo a ragazzi e ragazze in crescita troppe idee e confuse.
Cos’è l’educazione sentimentale? Qualcuno può dirmelo?
Se cerco su un dizionario enciclopedico trovo che “L’educazione sentimentale” è un romanzo di Gustave Flaubert, scritto nel periodo che va dal 1864 al 1869, e pubblicato nello stesso anno, suddiviso in tre parti, delle quali le prime due contano sei capitoli ciascuna, mentre l’ultima sette”, dunque in pieno periodo romantico.
Qualcuno/a si sveglia la mattina e decide di fare “educazione sentimentale”? Decidendo in modo non meglio definito che si debbano trasformare in insegnamenti “sentimenti buoni” o ”cattivi”? C’è una Commissione del Sentimento? Ne fa parte Lord Byron o Madame Bovary?
Con quali strumenti professionali di tipo pedagogico-didattico, se non medico-psicologico? Con quale formazione o abilitazione? Con quali effetti di tipo psicologico sui ragazzi? Operativamente in cosa consiste? E anche, con quali risorse si accede a questo insegnamento? C’è un concorso? In un momento di precariato e di criticità sul reclutamento scolastico? Troppa confusione, un po’ di superficialità e poca accortezza. Si tratta di educazione e di processi educativi. Andarci con le pinze. Non credete?
E dunque. Stiamo fermi? No.
Qualcosa si può fare e si deve fare, intanto che si attivano percorsi di ricerca scientifica e di riflessione negli ambiti e nelle sedi preposte a farlo prima di arrivare nelle classi. Qualcosa che però che è già stato studiato, sperimentato e proposto.
Ad esempio suggerire un adeguamento degli strumenti chiave con cui si trasmettono gli insegnamenti, cioè i libri di testo, e rimuovendo da questi in modo attento stereotipi e linguaggio sessisti, adeguandoli all’oggi. Lo dice persino Papa Francesco, apriamoci alla modernità, ma con criterio: i libri di scuola sono fucine di discriminazioni e stereotipi inalterati e trasmessi senza grossi mutamenti dall’epoca di Flaubert, anzi, prima ancora dall’ Emilio di Rousseau direi… di cui abbiamo festeggiato il 250esimo lo scorso anno.
I processi di rimozione degli stereotipi, ancor più quelli sessisti che hanno radici millenarie, è lento e complesso. La scuola è densa di stereotipi, inconsapevolmente i docenti e le docenti siamo portatrici e trasmittrici di stereotipi, senza rendercene conto, perchè sono radicati nella nostra cultura da secoli. Sono processi lenti e complessi, non vanno forzati, non vanno equivocati, non vanno confusi, ma da qualche parte bisogna pur iniziare. Da un libro, ad esempio. E’ la via meno impervia.
Proponiamo di adottare ad esempio il Codice Polite (acronimo che sta per Pari Opportunità nei Libri di Testo), che abbiamo promosso con una petizione, e di cui da tempo ne proponiamo l’adozione normativa, un Codice messo a punto alla fine degli anni 90, da una Commissione Interdisciplinare di esperti di vari ambiti e vari Paesi in merito alla rimozione degli stereotipi e dei linguaggi sessisti dai libri di testo e alla presenza del femminile e dei generi nei contenuti trasmessi dai libri.
Ci sembra una via più corretta, sperimentata, che offre strumenti di lavoro e di sensibilizzazione in modo semplice e strutturato alle insegnanti e agli insegnanti, agli studenti e alle studentesse. Senza attivare esperienze non meglio definite o sperimentate e senza gravare sulle casse dello Stato. Attenendosi a criteri scientifico-culturali. Intanto che si elaborano linee guida nei curriculi scolastici sulle tematiche di genere, dal punto di vista metodologico e di contenuto, per capire se è meglio attivare insegnamenti specifici o formare e preformare tutti gli insegnamenti attraverso metodologie didattiche nuove e attente, è meglio non affidarsi ad “apprendisti stregoni”, anche in assoluta buona fede, in grado poi di non controllare i complessi processi che si attivano.
Sul Codice Polite è stato presentato un emendamento al Decreto Scuola adesso in discussione.
La Tecnica della Scuola 02.10.13