I sindacati hanno ben chiari i rischi di una crisi. A partire da quell’ipotesi, che diventa sempre meno remota, di una legge di stabilità scritta dalla cosiddetta Trojka (Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Unione Europea), e che non sarebbe assai diversa da una manovra messa a punto esclusivamente da un soggetto ragionieristico (ministero dell’economia) e non anche politico: tagli lineari alla spesa dello stato, con una riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici, se non addirittura (come del resto già avvenuto in Grecia) un licenziamento delle unità ritenute in esubero, dalla sanità alla scuola. É questo uno degli scenari più inquietanti che sta dietro la porta della crisi politica che nei prossimi giorni dovrà essere definita nei suoi contorni e nei suoi sbocchi con il ritorno in parlamento del premier Enrico Letta.
Ieri i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, rispettivamente Susanna Camusso, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti, hanno annunciato la mobilitazione e sottoscritto un documento a sostegno della governabilità del paese. Per spiegare le loro ragioni si preparano volantinaggi nei supermercati e assemblee nei luoghi di lavoro, comprese le scuole. Giovedì a Piombino la prima manifestazione con i segretari generali.
Il documento sindacale rivendica le tre priorità della prossima legge di stabilità: «Restituzione fiscale ai lavoratori dipendenti e ai pensionati; una riduzione fiscale sulle imprese collegata agli investimenti e all’ occupazione; il completo finanziamento della cassa integrazione in deroga e la definitiva soluzione al problema degli esodati e dei precari della pubblica amministrazione, della scuola e della ricerca». Mai si parla di rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici, su cui pure le singole categorie, a partire da quelle della scuola, in queste settimane hanno fatto pressing sul governo. Evidentemente la consapevolezza a livello confederale, anche in casa Cgil, è che si tratta di un obiettivo non perseguibile. Nel riaffermare la necessità di un taglio alla spesa pubblica, essenziale per centrale l’obiettivo del 3% del rapporto deficit/Pil, i tre segretari argomentano la necessità, «abbandonando la dannosa logica dei tagli lineari», di realizzare «un vero riordino istituzionale e una riduzione della spesa corrente attraverso i costi standard, avviando un processo contrattuale di riorganizzazione della pubblica amministrazione». L’unico contratto di cui, almeno fino al 2014, è dato parlare è quello che deve servire a riorganizzare la macchina pubblica. Un invito che è stato rivolto alle stesse categoria perché si facciano promotrici di proposte al governo che sarà. Sembra dunque, se la linea sarà confermata, che anche le richieste legate agli scatti di anzianità nella scuola siano destinate a depotenziarsi. Per cedere il passo a un progetto riformista della macchina pubblica prima che a procedere a riduzioni di spesa siano soggetti esterni.
Intanto la crisi, se non sarà ricomposta e dovesse concludersi con il voto anticipato, minaccia di rendere inutile in questi giorni il lavoro delle camere per la conversione in legge da un lato del decreto sulla razionalizzazione della pa, con le misure per l’avvio della stabilzzazione dei precari pubblici, e dall’altro del decreto scuola. Dal via libera all’assunzione su tutti i posti disponibili nell’organico dei docenti alle misure per il welfare degli studenti, tutto rischia di saltare. «Siamo in prima pagina sul Financial Times con il governo Letta a rischio e siamo anche in prima pagina per la vicenda Telecom: non avrei mai pensato di continuare a finire in prima pagina sul Ft per questo, è un danno di reputazione enorme», ha commentato il ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza.
da ItaliaOggi 01.10.13
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