L’aumento dell’IVA è una questione che ha una sua storia. Una storia che ci permette di ricordare e ricostruire alcuni dei passaggi più drammatici della vita politica ed economica italiana negli ultimi due anni. E di apprezzare, quindi, il punto in cui siamo oggi, molto migliore di quello di due anni fa, grazie ai tanti interventi messi in campo, prima, dal Governo Monti e, poi, dal Governo Letta. Un punto che avrebbe potuto ulteriormente migliorare se i parlamentari e i ministri del PDL, con le loro sciagurate dimissioni, non avessero interrotto l’azione del Governo.
La storia ha inizio nel luglio del 2011, con il decreto-legge n. 98, il primo tentativo del Governo di allora di porre un argine alla crisi finanziaria che aggrediva l’Italia mettendola a rischio di insostenibilità per effetto del suo ingente debito pubblico. Si stabilì – con il voto contrario del Partito Democratico – di prevedere un taglio per 4 miliardi nel 2013 e per 20 miliardi nel 2014 a carico della spesa sociale e dei regimi di esenzione e agevolazione fiscale sovrapposti alle prestazioni assistenziali.
Un mese dopo, nell’agosto 2011, con un successivo decreto emergenziale, il decreto-legge n. 138, nel disperato tentativo di recuperare credibilità, si anticipò di un anno, dal 2014 al 2013, l’obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali, e si stabilì che i tagli alla spesa sociale e assistenziale, diretta o indiretta, dovessero essere di 4 miliardi non più nel 2013 ma nel 2012 e di 16 miliardi non più nel 2014 ma nel 2013. Come clausola di salvaguardia, si introdusse in alternativa e in assenza di questi risparmi l’aumento delle aliquote IVA.
Il PD si oppose a quelle misure, proponendo invece un aumento delle imposte patrimoniali sugli immobili e sulle ricchezze finanziarie. Il PD, invece, aderì dall’opposizione, con responsabilità, all’altra richiesta del Governo di allora e cioè di mettere in atto una riforma, anche costituzionale, relativa ai principi di equilibrio del bilancio, su cui il Governo italiano si era impegnato nelle sedi europee e internazionali, forse sperando che l’adesione a una più forte disciplina a lungo termine potesse sostituire le difficoltà di azione nell’immediato per mettere in atto le manovre di aggiustamento. Quella riforma oggi è attuata, con il nuovo articolo 81 della Costituzione e la nuova legge rafforzata di bilancio.
Dopo tre mesi, un nuovo Governo, presieduto da Mario Monti, nel decreto cosiddetto «salva Italia» nel novembre 2011, salvò dai tagli indiscriminati le spese sociali e assistenziali, varando una riforma dell’ISEE il cui decreto di attuazione sta per essere definitivamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale in questi giorni.
Il «salva Italia» introdusse invece un aumento rilevante dell’imposizione patrimoniale su immobili e ricchezze finanziarie (depositi e titoli) e, per chiudere i conti di quella drammatica manovra, fissò l’incremento delle aliquote IVA del 10 e del 21 per cento, che sarebbero dovute passare al 12 e al 23 per cento a partire
dal 1° ottobre 2012 e al 12,5 e al 23,5 per cento dal 1o gennaio 2014.
La storia dei successivi diciotto mesi, gli ultimi, dal dicembre del 2011 a oggi, racconta l’impegno a trovare coperture alternative a questi aumenti dell’IVA. Nel decreto n. 95 del 2012 l’incremento del 2 per cento viene posticipato al luglio del 2013 e ridotto l’aumento a partire dal 1o gennaio 2014. Alla fine, la legge di stabilità 2013, nel dicembre dello scorso anno, è riuscita, grazie agli interventi messi in atto durante tutto il 2012 sia sulle spese (pensioni, spending review) sia sulle entrate, a limitare l’aumento dell’aliquota ordinaria – previsto per il 1o luglio 2013 – dal 23 al 22 per cento e a cancellare del tutto gli aumenti programmati sull’aliquota ridotta al 10 per cento. Il decreto 76 del luglio 2013, infine, posticipa di tre mesi l’entrata in vigore dell’aumento dal 21 al 22 per cento.
Insomma: da aumenti dell’IVA previsti dal 10 al 12,5 per cento per l’aliquota agevolata e dal 21 al 23,5 per cento per quella ordinaria, dobbiamo oggi confrontarci soltanto con l’aumento dal 21 al 22 per cento dell’aliquota ordinaria. Si potrebbe dire che siamo quasi all’ultimo miglio, ma al tempo stesso è importante non dimenticare quanta strada abbiamo percorso, anche per non dissiparne i risultati.
Il nuovo decreto che il Governo aveva predisposto, e la cui approvazione è stata bloccata dalle dimissioni dei parlamentari del PDL, contiene un nuovo rinvio di tre mesi, finanziato con l’aumento delle accise sulla benzina. Se si volesse davvero evitare in modo permanente quest’ultimo aumento dell’IVA – che è la coda finale lasciataci in eredità dall’incapacità di Berlusconi e del centro-destra di affrontare la grave crisi dell’estate del 2011 – occorrerebbe peraltro aprire una discussione onesta e libera da ideologismi e strumentalizzazioni. A regime, non è affatto detto che coprire il mancato aumento dell’IVA con le accise sia una buona soluzione. Se ne possono trovare di migliori, come ad esempio interventi selettivi sulla distribuzione dei prodotti fra le diverse aliquote, oppure ancora la permanenza di una “coda” IMU sulle unità immobiliari di maggior pregio.
Pubblicato il 30 Settembre 2013