Una stangata da 3,7 miliardi. Che può salire a 7 miliardi. Questo il conto immediato scaricato su famiglie, lavoratori e imprese dalla grave crisi politica aperta ieri dalle dimissioni dei ministri pdl. Il rincaro dell’Iva (dal 21 al 22%, a partire da martedì) e il saldo natalizio dell’Imu sulle prime case, entrambe misure ormai inevitabili senza un governo al timone, insieme valgono 3,7 miliardi. E cioè circa 210 euro in media nei prossimi tre mesi: 65 di Iva, 145 di Imu. Ma se il caos politico portasse a un cambio di maggioranza o allo scioglimento delle Camere, il forte rischio di non convertire il decreto Imu in tempo – quello che cancellava la prima rata,
rifinanziava la Cassa integrazione in deroga, copriva altri 6.500 esodati – farebbe balzare quel conto a 7 miliardi. Obbligando gli italiani a pagare per intero tutta l’Imu. Lasciando i lavoratori senza Cig, gli esodati scoperti da gennaio e le imprese orfane di altri 7 miliardi di crediti che lo Stato in quel decreto si impegnava a saldare. Inoltre, privi di un esecutivo operativo, la legge di Stabilità che l’Europa attende entro il 15 ottobre sarà minimale e “alleggerita” delle riforme: casa, Iva, lavoro. «Sarà la troika a scriverla», si allarmava ieri il viceministro Fassina. Mentre intanto la correzione del deficit al 3,1% è ineludibile.
Ora la Cig è in forse Tremano gli esodati
LA BEFFA per i lavoratori è doppia. Il loro posto è a rischio, la politica sfascia tutto e la Cassa integrazione salta. Prima evaporano 330 milioni per la Cig in deroga previsti per il 2013 nel decreto di venerdì scorso che doveva rinviare l’Iva a gennaio. Poi forse spariscono anche gli altri 500 milioni rifinanziati col decreto Imu di fine agosto (sempre sul 2013), quello che cancellava la prima rata di giugno, ma che con la crisi di governo può finire nel vicolo cieco della non conversione in legge. In totale fanno 830 milioni per le piccole imprese in crisi che non possono ricorrere ad altri ammortizzatori. In quel decreto Imu-Cig tra l’altro si stanziavano risorse aggiuntive, ora a rischio, per salvaguardare altri 6.500 lavoratori esodati, dal 2014 al 2019.
Misura tampone per frenare il deficit
LA CORREZIONE del deficit, leggermente tracimato rispetto al tetto del 3% sul Pil, è un’altra delle misure saltate nel Consiglio dei ministri di venerdì. Una grana enorme per l’Italia che non può permettersi sforamenti, pena la riapertura della procedura europea per deficit eccessivo. Crisi o no, un decreto dunque andrà varato al più presto, pari a 1,6 miliardi. Tanto vale lo 0,1% di sforamento (ma l’Fmi parla di 0,2%) coperto con tagli ai ministeri e dismissioni di immobili pubblici, già individuati dal Tesoro. Se non si corregge il deficit, l’Italia perderà un importante margine di 12 miliardi da spendere per nuovi investimenti nel 2014. E si genererà il caos assoluto sui mercati, con il rischio, peraltro già paventato, di declassamento.
Il ddl Stabilità. E salterà il taglio del cuneo fiscale
LA GRANDE incognita, a questo punto, è la legge di Stabilità, l’ex Finanziaria, che da quest’anno deve avere anche il “bollino” dell’Europa, da stilare e presentare a Bruxelles entro il 15 ottobre. Se le condizioni politiche non lo consentiranno, l’Italia sarà costretta a formularne una versione “tabellare”, scarna, essenziale per la tenuta dei conti e le spese indifferibili, come accaduto nel 2011, sotto il governo Berlusconi ormai agli sgoccioli e lo spread oltre i 500 punti, scritta con il fiato sul collo dei funzionari Ue. Dunque nessuna riforma Imu con la definizione della nuova Service tax. Né rimodulazione dell’Iva. Tantomeno la riduzione delle tasse sul lavoro. O la programmazione dei fondi europei da cofinanziare che, assieme al Fondo sviluppo e coesione, toccano gli 80 miliardi.
Nel limbo 7 miliardi di crediti della Pa
CON una legge di Stabilità dal fiato corto, ridotta ai minimi termini, senza una traccia di piano per il rilancio, tutti i sogni di ripresa vengono spenti. Difficilmente le imprese riusciranno a intercettare, in queste condizioni, i refoli di crescita attesi per i prossimi tre mesi. Sfuma il taglio del costo del lavoro. Si vanifica il secondo decreto del Fare. I 7 miliardi in più di crediti pubblici da ripagare sono a rischio, perché dentro il decreto Imu-Cig che nessun Parlamento convertirà in legge, se si sciolgono le Camere. E poi le crisi aziendali aperte: chi le seguirà? A partire dall’Ilva. E chi piloterà i casi Alitalia, Finmeccanica, Telecom? Anche la norma sulgolden
power- riconoscere come strategica la rete telefonica e “proteggerla” dagli stranieri – a questo punto svanisce.
La Repubblica 29.09.13