Il disgelo rischia di morire sul nascere. Gli investitori esteri avevano ripreso a puntare sui titoli del Tesoro, le banche italiane erano tornate a piazzare i loro bond sui mercati globali.
GIÀ da qualche giorno però tutto si era bloccato con il crescendo del ricatto sul governo. Non è questa però la sola conseguenza del terremoto politico in corso. C’è altro, perché a chi vuole staccare la spina al governo dev’essere sfuggita la svolta contenuta nell’ultimo rapporto del Fondo monetario sull’Italia: per la prima volta si descrive uno scenario in cui il Paese chiede aiuto all’Europa.
È una “raccomandazione” sepolta ad arte in una scheda tecnica, quasi ad attutirne l’impatto. Ma il senso è chiaro, perché un prestito come quello evocato dall’Fmi implica conseguenze che per le élite del Paese sarebbero drammatiche: un programma di riforme pilotato da Bruxelles, Berlino o Francoforte, dunque una messa sotto tutela internazionale. Stefano Fassina, viceministro dell’Economia del Pd, ha subito riassunto il quadro senza giri di parole: «Così sarà la Troika a scrivere la prossima Legge di stabilità».
È con questa posta in gioco che al G20 di inizio mese Fabrizio Saccomanni e Christine Lagarde avevano avuto un colloquio a tratti molto teso. Il ministro dell’Economia aveva protestato con la leader del Fondo monetario. Voleva sapere perché nelle bozze dei rapporti sul-l’Italia, quelli poi usciti ieri, l’Fmi fosse così pessimista sul sistema bancario: stime di perdite, a quanto pare, astronomiche. Lagarde aveva scaricato tutto sul suo vice David Lipton, un economista passato dalla Casa Bianca di Bill Clinton. E alla fine, gli scenari peggiori sono stati rimossi dal testo ufficiale.
La diffidenza che li ha ispirati invece resta. E a credere alle stesse parole di quel rapporto, rimane integra anche l’ipotesi che l’Italia a un certo punto debba bussare al fondo salvataggi europeo, l’Esm. Secondo l’Fmi l’innesco potrebbe arrivare proprio dalle banche, ora che finiranno sotto esame europeo prima che la vigilanza su di loro passi all’Eurotower di Francoforte. A pagina 11 del “rapporto articolo 4” pubblicato venerdì dal Fondo monetario, un “check up” sull’Italia, compare in effetti una “matrice dei rischi” che descrive proprio questa ipotesi. Il primo punto parla di “coalizione instabile” (eufemismo da tecnici) che porta a “arretramenti”, cioè un deficit sopra al 3% del Pil, a riforme in stallo e a “declassamenti del rating”. Da tempo questo è uno degli incubi di Saccomanni. Oggi l’Italia è a due soli gradini dal rating “spazzatura” di Moody’s e Standard & Poor’s, per di più con prospettive negative; in caso di declassamenti multipli, le banche potrebbero continuare a finanziarsi alla Bce solo se il governo accetta un prestito e un programma vigilato dall’Europa. Per l’Irlanda e il Portogallo l’ingranaggio dell’aiuto partì così. Di certo su queste dinamiche c’è una persona che oggi non intende affatto far sentire il suo peso, neanche in modo informale: Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, ex governatore di Bankitalia, sa bene che una sua interferenza per alleviare la situazione del Paese da cui proviene minerebbe la sua credibilità nel resto d’Europa.
Draghi capisce anche che il fronte più delicato in questi mesi lo investe da vicino, perché riguarda le banche su cui dovrà vigilare. È qui che l’avvertimento del rapporto Fmi sull’Italia si fa più esplicito. È il il secondo nella “matrice dei rischi” indicati dal Fondo monetario. Gli economisti di Christine Lagarde temono che l’aumento dei fallimenti d’impresa, la caduta dei prezzi degli immobili e la difficoltà di finanziarsi all’estero indeboliscano alcuni istituti di credito. La probabilità che ciò accada è stimata come “media”, ma l’impatto “elevato”: aumenti delle sofferenze bancarie e
credit crunch ancora più forte. In quel caso il Fondo ritiene che gli istituti debbano fare trasparenza sui conti e il governo, se necessario, debba ricapitalizzarli con fondi pubblici. Oppure — qui il passaggio chiave — il Fondo dice che vanno “usate le misure di protezione europee se lo stress ha impatto sullo Stato”. È ciò che
è già successo alla Spagna.
Non è un destino inevitabile, anche perché l’Italia un anno fa ha già attraversato senza scosse mesi di governo dimissionario. Ma così l’Fmi presenta uno scenario in cui il Paese bussa al fondo salvataggi Ue, perché non può più sostenere le banche aumentando il debito pubblico. Nessuno l’aveva mai scritto nero su bianco in un testo ufficiale. Il terremoto politico aperto ieri rende peraltro quest’ipotesi più concreta, per un motivo preciso: l’esposizione delle banche italiane ai titoli di Stato è salita negli ultimi tre anni da meno di 200 a circa 400 miliardi. Se il valore di Bot, Btp o Ctz scivola nella crisi di governo, ci saranno ricadute più forti sui bilanci degli istituti. Un motivo di più perché nessuno abbia voglia di fare sconti all’Italia, ora che le sue banche stanno per passare al setaccio europeo e il Paese viaggia senza bussola.
La Repubblica 29.09.13