La violenza sulle donne e il crescente numero di femminicidi rappresentano una vera e propria emergenza nazionale. E non c’è ormai giorno nel quale questa realtà non venga ribadita più o meno brutalmente da fatti o parole. Secondo me è necessario ammettere, per non affrontare la questione superficialmente, che si tratta di un fenomeno purtroppo radicato del nostro Paese, per molti anni ignorato e che oggi, per via dell’enorme ritardo accumulato, rischia di essere affrontato con la sola logica dell’emergenza, come si trattasse di un allagamento o di un terremoto.
Nelle prossime settimane il Parlamento è chiamato a votare il decreto sulla violenza di genere, un appuntamento sul quale c’è una grandissima attesa. La ratifica della Convenzione di Istanbul è stato un primo importantissimo risultato ma il vero problema sarà quello di applicarla adeguando il nostro sistema con l’adozione delle norme mancanti e con l’innovazione di quelle esistenti. Al contempo, dovremo vigilare su quanto è già stato fatto, per dare continuità alle politiche necessarie affinché prevenzione, formazione, protezione e repressione risultino veramente efficaci.
Non illudiamoci, quindi, che il decreto sia la carta vincente contro la violenza e contro i femminicidi. Non illudiamoci, ingenuamente, che il giorno dopo la sua approvazione il Paese disporrà di tutti gli strumenti necessari per tamponare e superare culturalmente questo gravissimo e profondo problema.
Bisogna prendere atto, con rammarico, che anche in questa occasione la risposta normativa è stata permeata da una forte visione securitaria che ha trovato riscontro principalmente in un inasprimento delle norme penali, visione che senza ombra di dubbio rappresenta un’innovazione e un passo in avanti per il nostro Paese ma pure un limite, prima di tutto culturale. Il decreto, se non adeguatamente inserito in un contesto di norme e politiche più ampie, corre il rischio di rappresentare una sorta di cattedrale nel deserto più che una risposta in linea con gli impegni dettati dalla ratifica della Convenzione di Istanbul, dalle direttive europee e dagli obblighi internazionali che l’Italia ha assunto.
Questo rischio è stato segnalato molto chiaramente nel corso delle audizioni tenute nelle scorse settimane in Commissione Giustizia da molte associazioni e organizzazioni femminili. Bisogna essere ben consapevoli che al momento non è percorribile la strada di una legge organica tanto che il governo ha inserito le norme sulla violenza contro le donne in un decreto molto ampio nel quale vengono affrontate anche altre materie. Per questo credo sia necessario riuscire ad intervenire sul testo del provvedimento nella maniera più efficace per scongiurare non solo la possibilità che il decreto possa decadere per il decorso dei 60 giorni ma anche per un possibile voto di fiducia che di fatto ne precluderebbe ogni modifica.
Assieme alle colleghe Marzano e Locatelli abbiamo presentato numerosi emendamenti migliorativi: riteniamo di primaria importanza l’adozione di una definizione di violenza nei confronti delle donne e di violenza domestica in linea con la Convenzione di Istanbul, eliminando il riferimento fortemente restrittivo sulle violenze episodiche. Senza entrare nel merito degli emendamenti sulle norme penali, prevediamo modifiche significative all’articolo 5 del decreto che istituisce il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere. Questo Piano dal nostro punto di vista non può essere “straordinario” ma soprattutto deve essere talmente prioritario da essere veramente finanziato (al momento è previsto a costo zero!).
Abbiamo ritenuto importante che per la costruzione del piano fossero ascoltati i pareri, fondamentali, delle associazioni, organizzazioni e centri antiviolenza con sperimentata professionalità che da anni tutelano le donne. Inoltre, riteniamo essenziale che le finalità del Piano d’Azione coincidano il più possibile con gli impegni presi dal nostro Paese.
Con le nostre proposte di modifica, che speriamo il governo accoglierà con spirito costruttivo, il decreto potrà dare risposte adeguate e non tradire la speranza di migliaia di donne che da troppo tempo subiscono la violenza e vivono nella paura.
L’Unità 27.09.13