A prima vista il risultato elettorale in Germania è paradossale. La supervittoria di Angela Merkel e del suo partito rende difficile quello che sembrava l’esito scontato del futuro governo: una coalizione tra democristiani e socialdemocratici, la classica Grosse Koalition. I numeri, una collaudata tradizione e un certo umore diffuso, tra il rassegnato e il rilassato, la lasciavano aspettare. Invece potrebbe non essere così.
L’irritata battuta del leader della Spd, Peer Steinbrueck («Ora la palla è nel campo di Angela Merkel, lei deve trovarsi una maggioranza») è tutto un programma.
Ma qui forse la parola«programma» non è fuori luogo. Infatti se Cdu e Spd dovessero sedersi attorno ad un tavolo per stilare un programma di governo comune, la trattativa potrebbe essere lunga e laboriosa.
Ma guardiamo intanto il risultato complessivo delle elezioni. I due partiti popolari sono nettamente i più forti rispetto agli altri partiti diventati davvero «minori». Chi ha detto che i partiti tradizionali hanno fatto il loro tempo? Clamoroso, anche se prevedibile, è il tracollo dei liberali che da anni sostenevano una posizione aggressiva senza essere convincenti. Serio è anche il declino dei Verdi che – pare – pagano lo scippo compiuto dalla Merkel ai loro danni, con l’annuncio della chiusura delle centrali nucleari. Come se il programma dei Verdi non sapesse essere e mostrarsi più ricco e ampio di questa iniziativa.
Ma tra i partiti minori ha fatto capolino con un sarcastico 4,9% ( al momento in cui scriviamo) «Alternativa per la Germania» (AfD) che non entra in Parlamento per un soffio. Ma il botto è clamoroso, visto che le veniva continuamente negata una tale rilevanza numerica. Ma «Alternativa per la Germania» non è una piccola formazione come le altre. Non è un generico gruppo di protesta antieuropeista, un partito «populista» – come scrivono i giornali. E’ un piccolo gruppo di persone qualificate che fa un discorso radicale ragionato (giusto o sbagliato che sia) contro il frasario politicamente corretto sull’Europa e la sua moneta. Ha di mira la liquidazione dell’euro ovvero l’espulsione dalla sua area dei Paesi membri del’Ue che non sono in grado di sostenere e mantenere le regole definite. Una riaffermazione piena della autonomia e sovranità della Germania. Sono parole che suonano gradite ad ambienti istituzionalmente qualificati in Germania, in ambienti vicini alla Bundesbank e alla Corte federale. Questo partito costringe a ragionare seriamente sull’euro, a confrontarsi, a non accontentarsi delle giaculatorie. Angela Merkel lo sa e ne terrà conto. Il suo slogan «se fallisce l’euro, fallisce l’Europa» diventa ora assai più impegnativo di quanto non lo fosse sino ad ieri.
Torniamo così al risultato centrale delle elezioni, previsto, eppure straordinario. Parlare di «plebiscito» per Angela Merkel non è un’espressione semplicemente enfatica. Non si tratta infatti soltanto di numeri. Gli elettori hanno risposto positivamente all’unico vero slogan elettorale della Cancelliera : «Datemi fiducia. Fidatevi di me. Avete visto come ho governato bene? Come ho salvaguardato il vostro benessere? Come sto mettendo in riga gli europei recalcitranti?». Ha chiesto un atto di fiducia e lo ha avuto. E’ con questo che si presenterà ad un eventuale tavolo di formazione di una coalizione. Non avrà bisogno di fare la voce grossa.
Per il resto, se i socialdemocratici dovessero rendersi disponibili a coalizzarsi ha già pronte possibili varianti alla sua linea di «rigore». La socialdemocrazia esigerà soprattutto misure interne di maggiore equità sociale, di maggiore garanzia e sostegno per il lavoro precario. Sul piano europeo chiederà un atteggiamento più disponibile verso le iniziative della Banca centrale europea e altre misure minori che opportunamente pubblicizzate attenueranno l’immagine di eccessivo rigore della politica fatta sin qui. Ma non ci sarà nessuno scostamento dalla sostanza della strategia politica, economica e finanziaria condotta sinora dalla Germania della Merkel. La socialdemocrazia non ha né idee e né voglia alternativa – qualunque cosa dica Steinbrueck.
Il risultato chiave delle elezioni di ieri è che in Germania non esistono linee politiche alternative a quella intraprese in questi anni dalla Merkel. Veri autorevoli interlocutori possono venire soltanto dall’Europa.
La stampa 23.09.13
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“Se l’Europa non cambia”, di PAOLO GUERRIERI
Gli elettori tedeschi si sono espressi ma il risultato al di là del grande successo e della riconferma di Angela Merkel, si presenta molto incerto. Il partito Cristiano-democratico della Merkel potrebbe conquistare la maggioranza assoluta dei seggi ma la combinazione più probabile, al momento di scrivere, è una riedizione della grande coalizione tra Cdu e Spd.
La stessa che aveva governato nella legislatura che ha preceduto quella appena conclusa. A questo riguardo è difficile ovviamente fare delle previsioni, in presenza ancora di tante incertezze. Qualche considerazione si può comunque svolgere con riferimento alle speranze espresse da molti in Europa che un nuovo governo di grande coalizione – nel caso dovesse formarsi – possa avere una visione dell’Europa e dell’euro molto meno dogmatica di quella prevalsa finora e che possa portare addirittura a una riscrittura dell’Agenda europea.
È un’ipotesi, in realtà, che alla luce di questi risultati appare di difficile realizzazione. In altri termini, è assai improbabile che si possa produrre, almeno in tempi brevi, una nuova forte spinta verso un più avanzato progetto europeo. Mutamenti di qualche significato è più probabile che si producano in Germania sul fronte domestico. Proprio a partire dai temi dell’economia, che hanno pesato molto sul risultato elettorale – come peraltro in campagna elettorale – e sono destinati ad avere un grande spazio nell’azione del nuovo governo tedesco. Le sfide economiche da affrontare sul piano interno sono davvero impegnative. Certo, la Germania rappresenta oggi l’economia di gran lunga più potente d’Europa. La sua capacità industriale e la performance delle sue esportazioni non sono secondi a nessuno. Il tasso di disoccupazione (5,3 per cento) è il più basso, dopo quello dell’Austria, nella zona euro. Ma non meno importanti – pur se meno conosciuti – sono alcuni suoi punti deboli, accentuatisi nell’ultimo decennio.
Anni di bassi investimenti pubblici nelle infrastrutture, come strade e ferrovie, e nello stock di capitale privato, hanno fortemente abbassato il già modesto tasso di crescita potenziale dell’economia tedesca (è oggi intorno all’1,25 cento). Il dato è preoccupante anche alla luce della crescente carenza di manodopera che si sta profilando in Germania per l’invecchiamento della popolazione e una forza lavoro in calo. Oltreché lenta, la crescita tedesca ha premiato in questi anni in modo sproporzionato i ceti più ricchi. Per non parlare dei troppi lavori marginali a bassissima retribuzione che sono nati in questa fase in Germania.
È prevedibile dunque che il nuovo governo, chiunque esso sia, sia spinto a concentrare la propria azione in misura predominante su questi problemi interni, per cercare di intervenire sulle diffuse inefficienze economiche, le disparità di reddito, la crescente povertà nazionale e le tensioni sociali che queste tendenze stanno producendo.
E sul fronte europeo? «Quello che va bene per l’Europa, va bene per la Germania», ha detto la Cancelliera Merkel chiudendo la campagna elettorale. Il problema tuttavia è che l’Europa avrebbe bisogno di una svolta a dir poco radicale della politica economica condotta fin qui, incentrata – com’è noto – su una linea di severa austerità che si è rivelata disastrosa per molti Paesi, incluso il nostro. I cambiamenti si imporrebbero su due fronti almeno: quello del processo di integrazione economica, a partire dall’unione bancaria, e l’altro delle politiche per la crescita. Sul primo fronte la Germania ha continuato finora ad opporsi su aspetti qualificanti del meccanismo unico di risoluzione, una componente fondamentale del progetto di unificazione bancaria. In tema di crescita, Berlino ha più che altro frenato la creazione di meccanismi di coordinamento più simmetrici delle politiche economiche nazionali, come anche sull’ipotesi di un autonoma capacità fiscale e di investimento dell’eurozona. Una serie di freni e cautele del governo tedesco destinate a perpetuarsi e che rendono altamente improbabile una vera e propria svolta nella politica verso l’Europa. Essi derivano in effetti dalla necessità per il futuro governo di evitare decisioni oggi troppo difficili da far digerire ai cittadini elettori tedeschi. La grande maggioranza dei tedeschi è convinta – perché così è stato loro fatto credere in questi anni – che la politica condotta fin qui dalla Germania si sia spinta già molto in là sul piano della solidarietà agli altri partner dell’area euro, a partire dai paesi più indebitati. Di conseguenza, ritengono che qualunque concessione ulteriore debba avvenire solo sul piano della più stretta condizionalità, il che implica imporre agli altri Paesi regole e procedure sempre più vincolanti. In una tale prospettiva la sopravvivenza dell’euro verrebbe comunque garantita, ma il futuro dell’euro zona sarebbe sempre più caratterizzato da un sostanziale ristagno e da crisi ricorrenti dei paesi della periferia più indebitati, da fronteggiare eventualmente con iniziative e decisioni ad hoc prese all’ultimo minuto. Qualcosa di già visto in altre parole.
l’Unità 23.09.13
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“Il futuro Ue dipende ancora da Berlino”, di ANDREA BONANNI
LO STRAORDINARIO successo che gli elettori tedeschi hanno attribuito ad Angela Merkel premia i risultati tangibili ottenuti nel governare il Paese ma anche il fatto che, sotto la guida della cancelliera, la Germania è diventata indiscutibilmente la potenza egemone del Continente. Un risultato che la nazione tedesca ha vanamente inseguito per 150 anni al prezzo di stragi e distruzioni, e che ora ha ottenuto in modo pacifico, e tutto sommato consensuale, grazie all’esistenza della Ue. EGRAZIE all’accortezza con cui la Merkel ha saputo gestirne i meccanismi. Ora che la cancelliera viene riconfermata alla guida della Germania e dell’Europa, la reazione nelle altre capitali, al di l à dei messaggi protocollari di felicitazione che cominciano a piovere su Berlino, è insieme di sollievo e di preoccupazione.
Il sollievo nasce dal fatto che l’Europa crede di sapere che cosa aspettarsi dalla leadership di Angela Merkel. Molti capi di governo sono convinti di conoscere quali siano i margini di manovra che hanno a disposizione quando devono negoziare con la leader tedesca. Ed hanno avuto negli anni più difficili della crisi la prova che la cancelliera, pur cercando di anteporre gli interessi della Germania a quelli dei suoi partner, alla fine, quando si trova con le spalle al muro, non perde di vista l’interesse collettivo. Come ha dimostrato appoggiando la scelta di Draghi di schierare la Banca centrale europea a difesa della tenuta della moneta unica: un’opzione che a Berlino raccoglieva ben pochi consensi.
Ora il fatto che la Merkel esca enormemente rafforzata da queste elezioni la pone in una posizione di forza anche nei confronti di quelle frange del suo stesso partito che negli anni passati hanno spinto la cancelleria verso posizioni di eccessiva intransigenza. I falchi dell’ortodossia monetaria, che si annidano soprattutto nelle fine della stessa Cdu-Csu, oltre che nel partito liberale escluso dal Parlamento, avranno almeno in teoria minori possibilità di condizionare le scelte del governo tedesco in senso anti-europeo.
La preoccupazione che serpeggia delle capitali è dovuta invece al fatto che una vittoria tanto schiacciante della cancelliera non può che rafforzare ulteriormente l’egemonia di Berlino sul resto dell’Europa. La Merkel ha dimostrato che i tedeschi condividono in larghissima maggioranza sia la filosofia sia il modo in cui il governo tedesco ha gestito la crisi dell’euro.
Una filosofia e un metodo che hanno creato non poche difficoltà ai partner della Germania e che hanno suscitato anche dissensi profondi in molti Paesi.
Da una parte qualcuno può nutrire la speranza che la cancelliera, allontanata la preoccupazione di farsi rieleggere alla testa della Germania, potrà dedicare il suo terzo mandato a perseguire l’interesse comune europeo piuttosto che l’interesse particolare del suo Paese. Ma il consenso che la sua politica di severità e rigore ha riscosso presso gli elettori tedeschi legittima invece l’aspettativa che Berlino si rafforzi nella convinzione che le scelte fatte fino ad ora fossero quelle giuste. E dunque che non si debba deviare dalla strada già imboccata.
Per questo motivo, dietro le dichiarazioni di soddisfazione per la vittoria della cancelliera, sono molte le capitali europee che sperano di vedere la Merkel costretta ad una grande coalizione con gli avversari socialdemocratici. Il passaggio della Germania da un governo di centro-destra ad uno di centro- sinistra offre ai partner di Berlino maggiori margini di manovra. I socialdemocratici si sono dimostrati finora più sensibili alle sofferenze patite dai Paesi che la Germania ha costretto ad una politica di sangue, sudore e lacrime. E c’è la speranza che la Merkel, per ottenere il voto dell’Spd, sia obbligata ad ammorbidire in qualche modo la linea del rigore sia all’interno sia all’esterno della Germania. Ma le aspettative non possono che essere limitate. Anche i socialdemocratici, se pure saranno chiamati al governo, devono comunque prendere atto che la linea dura della signora Merkel in Europa ha ottenuto una valanga di consensi. E non potranno non tenerne conto.
La Repubblica 23.09.13