La partita della data e delle regole è assai più logorante di quanto non sia importante per il Pd. E rischia di seminare sconforto, incomprensione, persino ribellione tra gli iscritti, i militanti, i tanti cittadini interessati. L’Italia è mal messa, la crisi morde la carne viva, il Pd è tuttora la spina dorsale e la cerniera del Paese, oltre che la speranza più concreta di una ricostruzione: perché avvitarsi in una discussione oscura ai più e comunque distante dai problemi veri? Speriamo che quello di oggi sia l’ultimo passaggio sulle «procedure». Che il congresso inizi, che le primarie vengano fissate in modo conclusivo, che i candidati comincino a misurarsi su progetti che guardano il cambiamento futuro.
Ma, ben al di là delle regole interne, le ultime vicende hanno collocato sulla strada dei democratici una nuova questione politica. Che può condizionare il percorso assai più della scelta sulla domenica di dicembre nella quale allestire i gazebo. La questione è il destino del governo Letta e della legislatura.
Dopo la condanna definitiva di Berlusconi, dopo che la maggioranza del Senato si è chiaramente espressa in favore della sua decadenza da senatore, dopo lo spettrale video sul remake di Forza Italia, è chiara la strategia di logoramento intrapresa dal Pdl. Berlusconi non può, per ragioni di convenienza, rappresentare la rottura come mera ritorsione della condanna. Per questo alterna quotidianamente richiami elettoralistici con dichiarazioni di fedeltà al governo, ultimatum al limite dell’eversione istituzionale con segnali obliqui di pacificazione. La realtà – ormai chiara a tutti – è che Berlusconi vuole rompere e andare alle elezioni anticipate i primi mesi del 2014. Dopo che la sentenza ha reso inevitabile la sua esclusione da ogni ruolo pubblico e da ogni pubblico ufficio, il Cavaliere intende contrapporre la legittimazione diretta (magari espressa attraverso un simbolo elettorale con il suo nome, visto che non potrà più essere candidato) alla legittimità giuridica. Non è detto che ce la farà: perché è più debole, perché ha dissensi in casa, perché le sue stesse aziende potrebbero pagare un prezzo molto alto, perché nel Parlamento il Pdl non è determinante… Ma intanto ha iniziato la strategia del logoramento, quella già sperimentata con il governo Monti, al quale staccò la spina dopo averlo sfiancato, depotenziato, trascinato in polemiche infinite.
Enrico Letta non deve fare la fine di Mario Monti. Il suo non è un governo tecnico. Ed è Berlusconi che cerca di ridurlo a questa condizione, annullando l’autonomia politica del premier. Letta deve reagire. Con determinazione. Le sue parole di questi giorni – anche quelle che ha scritto ieri su l’Unità – sembrano un segnale in questa direzione. Ma il Pd dovrà sostenerlo, anzi incalzarlo, nel confronto con il Pdl. Un confronto che sarà duro, a partire da queste emergenze finanziarie di fine anno (Iva, copertura Imu, ampliamento della cassa in deroga) e dall’impostazione della legge di Stabilità.
Non può più valere la regola dell’Imu. Con il Pdl a piantare bandierine, dannose per l’equità delle manovre e finalizzate esclusivamente alla propaganda elettorale. Con il Pd a presidiare i profili sociali dei decreti, ma con risorse assai più scarse di quanto non sarebbero state giuste e possibili. Con il governo infine nel ruolo del mediatore e difensore della continuità.
Ma è proprio questa funzione di mediazione, ora, ad essere stata annullata dalla strategia di logoramento berlusconiano. Se Letta restasse fermo, sarebbe stritolato da un lato dalle rigidità europee (qualcuno a Bruxelles ha persino ipotizzato il riavvio della procedura d’infrazione se l’Italia sforasse il deficit anche solo dello 0,1%), dall’altro dagli ultimatum del Pdl. Perché dopo l’Imu, si inventerebbe un altro Imu, fino a far saltare ogni credibilità di questo esecutivo agli occhi degli elettori del Pd.
Questo non è un governo di larghe intese. È un governo senza intese che, non a caso, si trova in questa condizione dopo una sentenza di condanna definitiva a Berlusconi e dopo che Letta e Napolitano si sono doverosamente attenuti al rispetto dell’ordinamento e del principio di separazione dei poteri. Il presidente del Consiglio dovrà dire adesso, prima che parli il Pdl, quale equilibrio ritiene giusto tra Iva e Imu, tra tagli del cuneo fiscale e interventi per lo sviluppo. Deve porre lui stesso un sostanziale ultimatum alla maggioranza che lo sostiene. E il Pd non deve stare in silenzio. Ha fatto bene Epifani a ribadire che l’Iva non va aumentata nel 2014. E bisogna anche aggiungere che per finanziare i cinque miliardi che ci servono a mantenere il parametro del 3% nel rapporto deficit/Pil devono contribuire i proprietari della case più ricche, e comunque le parti più benestanti del Paese. Berlusconi scopra le carte: o accetta, o si va a casa. Non deve essere lui a staccare la spina quando meglio gli conviene. Sia messo al più presto di fronte alle sue responsabilità. E se dovesse far saltare tutto, non potrà mascherare il fallo di reazione alla condanna per frode fiscale. Altro che Imu. Il Pd non dimentichi nel suo congresso questo passaggio, perché i cambiamenti non nascono mai dal nulla. O il governo Letta produrrà atti di cambiamenti utili all’Italia di domani, oppure domani le macerie saranno ancora più alte.
L’Unità 21.09.13