Difficile immaginare un modo peggiore, dal punto di vista politico, per affrontare i prossimi appuntamenti di finanza pubblica. Il centrodestra sembra aver assunto ormai un assetto da campagna elettorale, puntando su quello che da sempre è il proprio punto di forza: la propaganda. Del resto, sostenere posizioni sfacciatamente irrealistiche in tema fiscale, così da sottrarsi di fronte agli elettori alla responsabilità che comporta la permanenza nel governo, è una posizione che ha pagato anche nel passato recente. Lo schema è stato giocato con successo non più di un anno fa nei confronti del governo Monti, quando il Pd fu lasciato per così dire con il cerino in mano mentre Berlusconi affrontava la campagna elettorale promettendo l’abolizione dell’Imu e cavalcando il sentimento antieuropeo. Anche senza arrivare ad esiti estremi per le sorti del governo, che non convengono nemmeno al Cavaliere, è evidente il vantaggio di tenere l’esecutivo sulla graticola, osteggiando questo o quel provvedimento fiscale senza porsi, e anzi evitando abilmente, il problema della coerenza complessiva in termini di finanza pubblica.
È dunque comprensibile quanto sia forte, per una parte almeno dell’elettorato del Pd e anche forse di qualche dirigente, la tentazione di sottrarsi a questo gioco, guardando con favore ad una crisi di governo e ad elezioni anticipati in tempi brevi. Comprensibile ma sfortunatamente estremamente rischiosa.
Innanzitutto ci sono, come dicevamo, gli appuntamenti di politica economica. Il passaggio dei prossimi due tre mesi non va sottovalutato, così come non va sottovalutata, pensando che il fondo della recessione è passato, la gravità della situazione economica complessiva.
Il Pd ha la responsabilità di contrastare non solo la linea avventurista del Pdl, ma anche un’altra opposta pericolosa tendenza, anch’essa ben radicata. Quella di considerare i vincoli europei come qualcosa di automatico e meccanico, per cui la scelta sarebbe tra aderire passivamente, nella logica dei compiti a casa, e far saltare il banco. Vale la pena di insistere su un punto che abbiamo spesso sottolineato su queste pagine: l’Europa è uno spazio politico. Al di là degli enfatici proclami sulla rigidità o meno dei parametri, esiste un margine di negoziazione, che è implicito nel meccanismo stesso del fiscal compact e nelle eccezioni e condizioni poste nella normativa comunitaria. È per sfruttare tale spazio che è necessario un governo quanto possibile forte sul piano politico.
Come uscirne dunque? Nel concreto delle scelte delle prossime settimane, si tratta di abbandonare un approccio frammentario ai problemi, chiarendo le alternative e chiamando la maggioranza alla responsabilità di scegliere; servirebbe a stanare il Pdl, ma anche a definire priorità e direzione.
Cosa c’è sul piatto? Accanto alla seconda rata Imu (2,3 miliardi ancora da trovare), ci sono il rinvio a gennaio dell’aumento dell’Iva (1 miliardo) e il finanziamento degli ammortizzatori sociali (in primis la cassa integrazione) e delle missioni all’estero (complessivamente almeno un altro miliardo). Qualora le previsioni sul deficit fossero confermate dal governo, si aggiungerebbero 1,7 miliardi di correzione per evitare di entrare nuovamente nella procedura di infrazione e perdere margini di flessibilità per il 2014. Sono 6 miliardi in tutto, che molto difficilmente possono essere coperti con tagli nelle spese correnti 2013 (siamo già a ottobre!), e dunque rischiano di determinare aumenti di imposta, riduzioni nella spesa per investimenti o il ricorso a qualche una tantum (che però determinerebbe un peggioramento del deficit strutturale). Il Pdl dunque si rassegni, in un contesto del genere nemmeno la partita della tassazione degli immobili nel 2013 può essere considerata chiusa.
Il governo affronti dunque con decisione il passaggio della legge di stabilità, definisca un corso di azione da spiegare agli italiani e a Bruxelles (da quest’anno le regole europee prevedono che la legge di stabilità sia vistata preventivamente anche dalla Commissione), facendo valere le ragioni del nostro paese nei confronti della Commissione europea. Di fronte ad un’azione decisa il Pdl dovrà decidere cosa vuole fare veramente. Può darsi che alla fine la conclusione sia che non è possibile continuare, ma avremo quanto meno evitato di sopravvivere in una condizione di guerriglia permanente, che sancirebbe l’impotenza della politica e renderebbe ancora più difficile risalire la china.
L’Unità 20.09.13