Berlusconi riflette se dare il colpo di grazia al Governo – che le sue reazioni alla condanna rendono inevitabilmente più debole – o se consentirgli di giungere fino al termine che si è prefissato, cioè il semestre di presidenza italiana della Ue. Questa riflessione solitaria – di cui avremo notizia, come d’uso, via video – sta diventando il baricentro della politica italiana, e l’epicentro del terremoto che potrebbe sconvolgerla. Già questo dipendere delle sorti di un Paese dalla volontà di un uomo ci dice qualcosa della debolezza di una politica che fatica a sottrarsi all’incontro fatale con un destino privato – divaricato rispetto al bene comune e che pure ancora tenta di sovrapporsi ad esso -.
La salvezza di Berlusconi implica infatti uno strappo al patrimonio più prezioso di un Paese civile: il rispetto delle regole, e in definitiva di se stesso. Il rispetto della Costituzione e del
principio di uguaglianza; il rispetto della legge Severino che per lo svolgimento del ruolo di parlamentare fissa requisiti che Berlusconi ha perduto; il rispetto di una sentenza definitiva, che non può essere elusa; il rispetto del regolamento del Senato, che rende impossibile impedire in tempi brevi il ricorso al voto segreto (come del resto è prassi per i voti sulle persone). L’eccezione politica alle norme giuridiche non sarebbe motivata dalla salus populi ma dalla salvezza di uno solo, che per trattare la propria salvezza personale da una posizione di forza minaccia di trasformare in un grave danno per la repubblica (la caduta del governo) ciò che invece è un bene collettivo: il perseguimento della legalità.
Mentre medita se e come dar corpo a questa perversione – a questo ennesimo e avvelenato assoggettamento del pubblico al privato – Berlusconi inquina la politica con una nube nera di sospetti. Intorno al suo caso, infatti, si annodano e convergono tutti gli interrogativi e tutte le incertezze: chi salverà chi nel voto in giunta e poi in Aula; chi lavora con chi, apertamente o sotterraneamente, a far cadere il governo, e con quali fini; chi tradisce chi, o chi va in soccorso di chi, per formare una diversa maggioranza che consenta almeno la riforma della legge elettorale, prima delle ennesime elezioni anticipate. Se il Pdl intreccia la vicenda di Berlusconi al governo, e alla profonde lacerazioni che lo attraversano (falchi e colombe, politicisti e aziendalisti), il Pd vi aggiunge anche le proprie questioni congressuali – con alcuni candidati che sembrano tifare per la prosecuzione del governo Letta, e altri invece più propensi ad accorciarne la durata -.
Una crisi di sistema si sta annunciando; non può essere che il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio reggano da soli il peso della politica italiana; che le diano stabilità se tutto è preda di paradossi, incertezze, conflittualità che impediscono la costruzione di nuovi assetti politici e istituzionali. Questi ultimi sono appesi a un processo di riforme appena iniziato che si interromperebbe in caso di crisi di governo; quanto al sistema politico – il grande malato del nostro Paese, alle cui plurime debolezze una riforma della Costituzione può dare risposte solo parziali e indirette – fa acqua da tutte le parti, a destra e a sinistra (sia pure con modalità e per motivi diversi).
L’Unità 17.09.13
A destra Berlusconi lo comprende, e vi reagisce, a modo suo: cioè inventando il passato, rispolverando Forza Italia come strumento più fidato e sicuro del Pdl per il fine che egli assegna a un partito di destra: salvare il soldato Silvio, fargli vincere (o almeno pareggiare) ancora una volta le elezioni. Un partito che non troverà la sua ragion d’essere in una tradizione, in una cultura, in un’elaborazione, in una partecipazione, in un’organizzazione: un’entità che sarà quindi un partito di scopo, che vivrà la vita del suo fondatore e padrone. E che dunque non darà una mano a rafforzare il quadro politico sulla destra dello schieramento.
È evidente, allora, che ancora più gravoso sarà il compito, e a ancora più gravi gli interrogativi, che gravano sul Pd: chiamato a riflessioni, discussioni e decisioni che vanno ben oltre le vicende personali di questo o di quello, e che convergono sulla questione più generale: è ancora possibile fare efficacemente politica in Italia, e come? Una domanda cruciale, se è vero che dalla crisi economica e sociale che ci attanaglia si uscirà solo se i timidi segnali di ripresa che si annunciano saranno sostenuti e sviluppati da un politica forte, stabile e democratica. Quella che ancora ci manca, e che dobbiamo costruire con chiarezza e decisione.