attualità, politica italiana

“I cambiamenti necessari”, di Claudio Sardo

Il Governo Letta ha molte zavorre: è frenato dai ricatti del Pdl (come quello sull’Imu), è trattato con freddezza da parte del popolo di centrosinistra, ha margini esigui di manovra nel bilancio dello Stato, è condizionato dalla precarietà che Berlusconi ha imposto dopo la condanna. Eppure il governo Letta ha nel dna importanti obiettivi di cambiamento: o sarà in grado di realizzarli, o morirà.
I cambiamenti connaturati alla missione del governo sono tre. Il primo: agganciare la ripresa europea, apportando le prime correzioni di rotta alle politiche economiche perseguite in questi anni scellerati. Non ci sarà vera ripresa – almeno sul piano sociale – finché non tornerà a crescere l’occupazione. Non basterà qualche decimale di punto del Pil. E non basterà neppure giocare la partita interna sulla legge di Stabilità. L’impegno di rispettare il vincolo del deficit al 3%, come spiega Paolo Guerrieri nel suo articolo di oggi, ha senso solo se è accompagnato da investimenti strutturali per lo sviluppo e per il lavoro, concordati con l’Unione europea e svincolati dai parametri di Maastricht. Solo così potremo tornare a respirare e progettare. Solo così si può sperare di tenere insieme competitività e redistribuzione. Senza queste basi, anche domani, una più efficace e radicale politica di cambiamento rischia di diventare impossibile.

Il secondo cambiamento necessario (all’Italia e alla sopravvivenza del governo Letta) riguarda le riforme istituzionali ed elettorali. È chiaro a tutti che tornare alle urne con le regole attuali – il Porcellum e il bicameralismo paritario – rischia di provocare un disastro. Il Paese non può sopportare un’altra elezione nulla. Stavolta potrebbe collassare l’intero impianto istituzionale, aprendo le porte a un commissariamento esterno o ad altre soluzioni autoritarie. Il governo Letta ha bisogno, appunto, del 2014 per condurre a termine l’impresa, come ha bisogno del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea per incidere sulle politi- che di bilancio e portare a casa dei risultati significativi.

Il terzo cambiamento – implicito anche se non dichiarato – comporta la trasformazione degli attori politici oggi sulla scena. L’intero nostro sistema non funziona più e il successo elettorale ottenuto da Grillo, con gli esiti paralizzanti che ha prodotto, ne è solo l’ultima prova. Se il governo Letta giungerà alla fine del 2014, inevitabilmente, avremo un nuovo centrosinistra e un nuovo centro- destra. Con nuovi leader e nuovi profili. Speriamo con altre forze disposte a chiamarsi «partito». In ogni caso, anche se l’innovazione o la capacità progettuale fosse carente, la ruota dovrà girare. È una necessità vitale, oggettiva, a cui nessuno può resistere. Il congresso del Pd è avviato: solo una crisi di governo e la fine repentina della legislatura può bloccarlo. Segnerà un passaggio generazionale, e non solo. Ma anche nel campo di Berlusconi un’era si chiude. È vero che il Cavaliere è ancora il solo «campione» elettorale della destra, tuttavia la decadenza da parlamentare e l’interdizione da ogni funzione pubblica impone un passaggio di testimone che non potrà ridursi ad un semplice cambio di maschera.

Berlusconi può interrompere questo processo ribellandosi alla (inevitabile) decadenza da senatore. Può far saltare il governo Letta, tentando di contrapporre il proprio consenso popolare alla sovranità della legge. Legittimazione contro legalità. Ma se concederà il nulla osta al governo per il 2014 – magari compiendo il solo gesto razionale di un uomo politico: le dimissioni da senatore, anticipando ogni voto di giunta e aula – il centrodestra non potrà non assumere una nuova fisionomia. Il dilemma di Berlusconi è esattamente questo: andare da leader all’ultimo assalto – stavolta sarebbe anche una guerra istituzionale – oppure favorire l’avvento di un nuovo sistema politico.

Qualcuno potrebbe dire: ma siamo sicuri che, in un contesto così incerto e conflittuale, il governo riuscirà a conseguire questi tre risultati? Perché non dovrebbe anch’esso fallire? Domande sensate, visti peraltro i precedenti di questo ventennio, in cui si è gridato vanamente all’inciucio e, in realtà, non è stato mai realizzato un compromesso politico degno di questo nome.

Ma il punto è che il governo Letta non riuscirà ad andare avanti, se rinuncerà o mancherà anche solo uno dei tre obiettivi. Il governo cadrà se le riforme istituzionali ed elettorali dovessero saltare. Il governo cadrà senza, almeno, una sensibile correzione di rotta sulle politiche economiche: il ricatto del Pdl sull’Imu è talmente insensato e autolesionista che, se non verrà depotenziato e/o riequilibrato sul piano sociale, renderà impossibile una chiusura positiva della legge di Stabilità. Infine il governo cadrà se Berlusconi non cederà il passo e non consentirà un centrodestra libero dalla sua impronta patrimoniale. Può darsi che Berlusconi provocherà la crisi proprio per impedire questi cambiamenti. Speriamo che il centrosinistra lavori invece – senza concedere sponde a Berlusconi sulla crisi – per costruire le pre-condizioni necessarie del cambiamento di domani. Il congresso del Pd deve mettere in campo una proposta forte per l’Italia di domani. Ma guai a fermarsi ai nomi dei leader. Guai a far prevalere la tattica, immaginando che una leadership più efficace possa prevalere in elezioni immediate e possa com- pensare da sola i limiti del sistema. Il cambiamento che serve all’Italia deve fondarsi su basi più solide delle macerie di oggi.

L’Unità 15.09.13