Decreto scuola. Per non essere accusata di benaltrismo, premetto subito un grazie. Grazie per il decreto e per le intenzioni. Grazie per alcune azioni. Grazie per aver dato almeno l’idea che nella scuola è necessario investire. Seconda premessa: non credo e non ho mai creduto che il “tema” scuola fosse di tipo occupazionale, ma un’occasione di crescita nazionale. Non un problema: una ricchezza. Non il mondo delle politiche da ragioneria statale, per piazzar laureati o ragazzini da qualche parte, in rapporto variabile a seconda dello schieramento, ma l’obiettivo della politica come strumento di prefigurazione futura.
Quello che riempie oggi le prime pagine dei giornali è una ridda di numeri su quanti precari della Scuola verranno occupati. Con tutto il bene che nutro verso i precari, il fatto che noi ci battiamo da anni per coprire le cattedre vacanti e per ridare insegnanti ai ragazzi in un giusto rapporto, non discende, per noi docenti, da motivi occupazionali, ma dalle necessità di assicurare e migliorare la qualità del servizio offerto.
Qualità che è stata gravemente compromessa da azioni radicali negative agite dai governi precedenti. Il decreto di ieri sana o compensa quelle azioni radicali negative? No. «Ti han tolto cento, faccio finta di ridarti dieci, dimmi grazie». E allora: bene che i 27 mila posti dei supplenti di sostegno (uso un linguaggio poco tecnico ma comprensibile a chi legge) oggi siano occupati dagli stessi supplenti trasformati in docenti di ruolo.
Ottimo. Ma non è nulla di più che un’azione di buon senso: costano persino di meno. Non è un investimento cioè, non c’è un euro in più. E neppure una modifica strutturale. Si prevedono 70 mila stabilizzazioni in tre anni: i pensionamenti annuali nella scuola sono tra i 20 e i 30 mila.
È dunque turn over, non investimento. Le classi pollaio stanno là e tutti gli annessi e i connessi. È un bene che si pensi di investire soldi contro la dispersione scolastica. Ma l’investimento strutturale non è il “metto 15 milioni contro la dispersione scolastica” , che leggiamo nel Decreto, calandoli nella costellazione immensa delle scuole autonome in cui ciascun dirigente deciderà se organizzare il corso di ricamo creativo o il fortino della legalità. Sono milioni persi.
L’investimento strutturale contro la dispersione scolastica è: visto che il tempo pieno alle elementari nelle regioni a massima dispersione è al 5% (più o meno) mentre in Lombardia è all’85%, faccio uno sforzo di investimento e lo estendo anche là dove più serve e potenzio la formazione dei docenti di quelle aree. Mi dirà Letta: altro che 15 milioni, servirebbero circa 2 miliardi (metà Imu).
Lo so, ma a me tocca dire quello che è inutile, perché vien fatto da 30 anni (tra l’altro con ben altre somme) in quella modalità e non funziona, rispetto a ciò che serve per ottenere quell’obiettivo lì: tempo pieno alle elementari e alle medie strutturato con moduli per recuperare gli ultimi e potenziare i primi esteso in forma massiccia e uniforme, soprattutto nelle aree a rischio. E risolvi la dispersione.
Nel decreto vengono stanziati 10 milioni per la formazione dei docenti. Briciole. Spesi come? Affidati alla discrezionalità dei dirigenti? Frantumati in una miriade di corsi diversi e non sempre certificati o efficaci? Serve la formazione in servizio obbligatoria, nazionale e legata al mondo della ricerca educativa.
Serve un adeguamento formativo della classe dei dirigenti scolastici per potenziare competenze gestionali e organizzative, visto che devono far questo e non indirizzare la didattica e la pedagogia in una scuola (poi qualcuno ci dirà però a chi tocca farlo oggi). La scuola italiana è ammalata di frammentazione in ogni ambito e ad ogni livello, anche formativo didattico-pedagogico (quando c’è: diventi docente oggi anche con un diploma tecnico pratico, figurarsi pretendere percorsi di studio specifici per fare il docente) e di scarso aggiornamento.
Occorre recuperare un lessico e una formazione nazionale pedagogica comune, in servizio e ricorrente, da modulare e calibrare in libertà certamente. Costa? Ma è quello che serve. L’obiettivo principale da raggiungere nella Scuola oggi è innalzare i livelli cognitivi medi degli studenti italiani, recuperando gli ultimi e potenziando i primi, servono azioni semplici ma organiche e strutturali, le uniche efficaci nel lungo periodo.
Nel decreto invece leggiamo che i docenti potranno entrare nei musei, che ci sarà qualche borsa di studio per i ragazzi capaci e meritevoli, che 3 milioni andranno alla formazione artistica e musicale… briciole, declinate come e dove e perché non si capisce. Abolito il bonus per i test di accesso all’università: è un investimento?
C’è anche il no al fumo, fondamentale, non dico di no, ma come a Palermo il vero problema non è il Ttthaffico, i veri problemi della scuola non son musei e fumo. Sì, certo decisioni apprezzabilissime, se fossero inquadrate in una cornice organica di azioni strutturali che non si trovano nel decreto, azioni semplici, qualcuna l’abbiamo indicata, mica chissà cosa, ma radicali. Servono soldi per fare le cose per bene e sanare le urgenze vere. Non ci sono le risorse per far le cose che potrebbero innalzare i livelli medi cognitivi degli studenti italiani? Lo si dica. Con semplicità. Che il problema della scuola non è il Ttthaffico.
Da EuropaQuotidiano 11.09.13