L’aereo era appena decollato da Torino, alle 6 e 40 di ieri mattina, quando Giulietta Quirico, seduta accanto al finestrino, ha visto il cielo colorarsi di arancione e si è lasciata andare: «Non ho chiuso occhio anche stanotte ma finalmente per noi è l’alba di un nuovo giorno». Nella borsa che ha preparato in fretta l’abito grigio, la camicia a righe e la cravatta regimental per quel marito che non vede da 156 giorni. All’atterraggio il traffico di Roma ritarda l’incontro previsto per le 8 alla Farnesina. Le squilla il telefono, è Claudio Taffuri, il capo dell’Unità di crisi, che le chiede dove sia finita, dice che Domenico l’attende con ansia. Allora lei con una certa ironia risponde: «L’ho aspettato per cinque mesi, adesso non sarà un dramma se mi aspetta lui per cinque minuti».
L’incontro è commovente, poi Domenico corre a cambiarsi e smette i panni del prigioniero, dell’uomo costretto a vegetare per quasi due stagioni: «Mi hanno rubato una primavera e un’estate, era come se fossi su Marte, sono stato tagliato fuori dal mondo». E per un giorno intero mi chiederà di aggiornarlo su tutto, con lo stupore di un bambino che deve recuperare il tempo perduto.
Sull’aereo che lo riportava in Italia ha chiesto chi fosse diventato presidente della Repubblica, quando gli hanno risposto Napolitano ha ribattuto: «No, intendo quello nuovo…», poi ha avuto conferma che il capo del governo è Enrico Letta. Quando era partito c’era ancora Pierluigi Bersani che cercava di formare una maggioranza, poi una sera ha intravisto dal televisore dei suoi carcerieri le immagini, su Al Jazeera, della fase finale del G8. «Ero lontano non sentivo l’audio e quando i leader si sono messi in posa per la foto ricordo ho visto un signore che non era Putin, non era Obama, non era la Merkel, non era Hollande, non era Cameron, non era giapponese e non era neanche il canadese così mi sono detto: mah… quello deve essere l’italiano e mi è sembrato Enrico Letta, però fino a ieri mi sono tenuto il dubbio. E poi i rapitori continuavano a ripetermi: “Ma tanto ci penserà Berlusconi a salvarti”, convinti che fosse sempre lui il capo del governo».
Quando poi al fondo della scaletta ha visto Emma Bonino si è commosso: «Mai più avrei immaginato che fosse diventata ministro degli Esteri, la conosco da vent’anni, dall’epoca del genocidio in Ruanda, che è un po’ la nostra storia ed è un po’ la storia di tutte queste terribili vicende che io racconto da anni e lei ha contrastato battendosi come ha sempre fatto». La Bonino lo ha accompagnato a Palazzo Chigi, ad incontrare Enrico Letta. Nella sala d’angolo che era stata lo studio di Berlusconi e poi di Monti e che oggi è tornata a funzionare come luogo di rappresentanza, dopo il premier è entrato Angelino Alfano e Domenico ha strizzato gli occhi. Più tardi, sottovoce e con garbo, mi ha chiesto cosa ci facesse nella sede del governo e quando gli ho spiegato che è ministro dell’Interno e vicepremier è rimasto a bocca aperta: «Quando ho visto Letta e Alfano insieme ho pensato di sognare, non riuscivo a capire, adesso invece ho capito che la politica è proprio l’arte dell’impossibile».
Ma a stupirlo più di tutto sono stati i fatti di politica internazionale, quelli che ha sempre seguito con passione, senza perdere mai una notizia, una sfumatura, un dettaglio e nel tempo breve del viaggio di ritorno verso Torino ha dovuto fare i conti con il nuovo sconvolgimento del Medio Oriente e la fine delle primavere arabe. Mai avrebbe scommesso sulla vittoria di Rohani alle elezioni iraniane e i suoi occhi si muovevano veloci a cercare di immaginare le conseguenze, così ha una voglia matta di capire cosa sia successo in Qatar, perché l’emiro abbia abdicato e il Paese abbia ripiegato dopo la sua politica aggressiva d’influenza su tutta la regione.
Ma la cosa che lo ha sconvolto di più è stata la notizia del golpe egiziano, con l’arresto di Morsi e l’uscita di scena del Fratelli Musulmani. «Ma si sono lasciati estromettere così, senza combattere?». Quando gli ho spiegato che le piazze si sono incendiate, che l’esercito ha sparato sulla folla dagli elicotteri, allora gli è venuto un nodo in gola: «Quante cose non ho visto, quante cose avrei potuto raccontare». Solo nel momento in cui gli ho detto «… e invece hanno fatto uscire dal carcere Mubarak» mi ha guardato storto pensando che lo prendessi in giro.
Gli ho poi raccontato della Shalabayeva, del rimpatrio forzato in Kazakhstan della moglie e della figlia dell’oligarca dissidente Ablyazov e si è fatto ripetere la storia due volte perché non riusciva a capirla, ha chiesto chi sia favorito alle elezioni tedesche e non s’è stupito che la nostra politica sia paralizzata dalle questioni giudiziarie di Berlusconi.
Mi sono dimenticato di dirgli che abbiamo visto il vecchio Papa e quello nuovo pregare insieme e che gli americani sono finiti in un nuovo scandalo spionaggio, ma è stato perché, dopo una giornata intera in cui aveva raccontato a tutti della disperazione della Siria e della sua prigionia, aveva voglia di evadere un momento.
Mentre atterravamo ha chiesto chi avesse vinto il campionato e i colpi di mercato del suo Milan. Prima gli ho detto della Juve e della cessione di Cavani, poi, pensando di restituirgli il sorriso, gli ho annunciato il ritorno di Kakà. Si è messo le mani davanti agli occhi: «Questa proprio non ci voleva, non l’ho mai sopportato, averlo saputo sarei rimasto in Siria…».
La stampa 10.09.13