Le sorti del Pdl, del governo e dell’intera politica italiana continuano a ruotare attorno alle vicende personali di Silvio Berlusconi. O per meglio dire, è il Cavaliere che continua a far ruotare il Pdl (e di conseguenza tutti noi) attorno ai suoi interessi e ai suoi guai. Ma è una trottola che perde slancio a vista d’occhio: la traiettoria che disegna nel dibattito pubblico non è più il cerchio perfetto, quasi un punto, della fase iniziale.
A mano a mano che il giocattolo rallenta la corsa, inevitabilmente, la sua rotazione si fa sempre più oscillante, la sua andatura sempre più sghemba, il suo tracciato sempre più assurdo. È vicino il momento in cui anche questo ventennale girotondo della destra italiana attorno al suo leader, e dell’Italia attorno al Cavaliere, incontrerà l’ultimo e il più insuperabile degli ostacoli: il principio di inerzia. La trottola traccerà la sua estrema, stridente, sgraziata piroetta istituzionale – il Cavaliere invocherà le Nazioni Unite, chiamerà i sostenitori alla guerra civile, chiederà asilo politico a qualche satrapo asiatico in nome della difesa dei diritti umani e dello stato di diritto – e infine uscirà di scena. Il crescendo di assurdità politiche, giuridiche e istituzionali in cui ha trascinato l’intero stato maggiore del suo partito dice che quel momento è vicino.
Anche per questa ragione, come già sa chiunque abbia mai parlato con qualcuno dei suoi elettori, a raccogliere l’eredità politica del berlusconismo non sarà quella nuova destra liberale vagheggiata dai politologi sin dal 1994, inseguita e scandagliata per vent’anni in ogni sua possibile configurazione da milioni di retroscena, Sacro Graal del giornalismo politico della Seconda Repubblica. Ammesso e non concesso che il Cavaliere sia paragonabile a Charles de Gaulle, a raccoglierne il lascito non sarà Georges Pompidou, ma Beppe Grillo.
Silvio Berlusconi è stato condannato con sentenza definitiva passata in Cassazione, al termine dei regolari tre gradi di giudizio. In qualunque altro Paese democratico del mondo la discussione in cui siamo impantanati da un mese non sarebbe durata un minuto. L’inarrestabile escalation di appelli, ricorsi, cavilli e ricatti messi in campo dal Pdl, a cominciare da quei dirigenti che avrebbero dovuto rappresentarne il futuro migliore, la dice lunga sulla natura di quel partito, ma soprattutto sul significato ultimo della sua parabola. Un esito perfettamente simboleggiato nel ritorno a Forza Italia: il partito-azienda fondato da Berlusconi di cui il Pdl avrebbe dovuto essere l’evoluzione liberale e democratica, l’ultimo passo del suo solenne ingresso nell’alveo del popolarismo europeo. Niente da fare, dalla regola europea si torna all’eccezione italiana. Del resto, il modo in cui quel partito aveva affrontato il primo barlume di dibattito interno, con l’immediata espulsione della componente finiana, aveva mostrato subito la ragione strutturale che ne impediva l’omologazione agli standard minimi richiesti alle forze politiche dei Paesi occidentali.
Il berlusconismo si dimostra oggi più che mai inscindibile da Silvio Berlusconi, con tutti i vantaggi che questo ha comportato fino a oggi. E tutti gli svantaggi che oggi comincia a presentare. Resta da capire se il modello politico-imprenditoriale che ha rappresentato in questi anni uscirà di scena con lui, o se l’Italia sarà destinata a essere ancora a lungo ostaggio di qualche magnate della comunicazione con la passione per la politica e una spiccata insofferenza per il dissenso.
L’Unità 10.09.13