«Il Pd non può più fermarsi », dicono a Palazzo Chigi condividendo la linea del partito. Non ci sono spiragli per concedere tempo e fiato ai ricorsi di Berlusconi, alle manovre dilatorie del Pdl nella giunta del Senato che decide la decadenza del Cavaliere. «L’unica preoccupazione è non commettere errori — spiega Guglielmo Epifani ai suoi collaboratori —. Non dobbiamo dare l’idea di strappi giustizialisti e non dobbiamo accettare le strategie messe in atto dai berlusconiani per far slittare il voto. L’importante è mantenere un atteggiamento coerente, senza accettare provocazioni e senza dare pretesti». È questa la strada scelta da Largo del Nazareno per salvare il Pd ed Enrico Letta dalla possibile “rissa” innescata da Berlusconi. Non ci sono margini per allungare il brodo. E non è possibile aspettare che siano i giudici della Corte di appello di Milano a decidere sull’interdizione dai pubblici uffici scongiurando il cortocircuito dentro le larghe intese.
Letta ha seguito l’evoluzione della discussione a Palazzo Madama da Bruxelles. Gli altri dirigenti democratici hanno continuato il loro giro per le festesparse in Italia sentendo il polso del popolo del Pd. Popolo che non accetterebbe mai una sponda del centrosinistra alle manovre di Berlusconi. Nemmeno in cambio di qualche garanzia per il governo. Il sentiero è tracciato, «separazione netta tra l’azione dell’esecutivo e le libere decisioni parlamentari su una questione giudiziaria», come ripete il premier anche in queste ore. E se qualcuno, dentro il governo, ha pensato che si potessero concedere alcuni giorni di confronto nella giunta, ieri ha capito che il Pdl vuole subito vedere le carte. Così è stata interpretata la richiesta di tre pregiudiziali di costituzionalità avanzata dal relatore Andrea Augello. Una mossa che ha irrigidito Pd, Sel e 5stelle. Che accelera le votazioni nella giunta anziché rallentarle. Se non è un’ingenuità tattica, allora davvero Berlusconi si prepara alla crisi.
Il momento delle verità dunque è vicinissimo. Letta pensa di esserci arrivato nelle condizioni migliori possibili. Con i risultati del governo che «in quattro mesi hanno cambiato l’Italia», disinnescando la mina dell’Imu, con il suo partito, il Pd, che ha compreso il senso e lo sforzo delle larghe intese, come ha capito alle festa nazionale di Genova. Insomma, il premier avrebbe adesso le carte in regola per una eventuale candidatura alla premiership nel campo del centrosinistra, se si dovesse andare velocemente alle elezioni. Il Letta bis è una soluzione evocata solo di sfuggita a Palazzo Chigi. Potrebbe vedere la luce solo nel caso fosse legata «aun nuovo progetto politico che nasce nel centrodestra». Cioè, a uno smottamento da quella parte che conduca a qualcosa di più profondo del voto di un pugno di transfughi. Avrebbe un senso soltanto se fosse chiaro che siamo giunti al bivio finale tra i destini di una forza politica e quelli del suo leader.
Questa è la base su cui Letta e i suoi collaboratori ragionano quando immaginano la possibilità di un bis. Tolto l’alibi principale dell’Imu, le colombe e i “governisti” del Pdl dovrebbero compiere una scelta pensando al futuro. In quel caso, un nuovo esecutivo sorgerebbe su fondamenta diverse, ma politiche. Senza affidarsi al semplice voto degli Scilipoti di turno. Le premesse non sono buone. Berlusconi ha già incassato la garanzia di dimissioni immediate dei suoi 5 ministri e 18 sottosegretari. Palazzo Chigi ha già spiegato che non batterà ciglio, accoglierà le dimissioni e tornerà in Parlamento a chiedere la fiducia delle Camere. Sono mosse plausibili ma finora tutte scritte sulla carta. Gli effetti di una crisi aperta da Berlusconi su se stesso, sulla sua condizione di condannato in via definitiva sono ancora da misurare nel concreto. Con la variabile decisiva delle decisioni di Giorgio Napolitano, sempre più arbitro del futuro.
La Repubblica 10.09.13