«Fino a luglio, i genitori mi assicuravano che avrebbero iscritto i bambini, poi a uno a uno le famiglie hanno cambiato idea. Sono tornata a scuola e ho visto che se ne sono andati tutti». Per Marinella Bertoni Ducoli, 57 anni, dirigente di plesso alla scuola elementare di Corti, frazione di Costa Volpino, Bergamo, gli italiani hanno ritirato i loro figli dalla prima elementare a maggioranza di bimbi stranieri, «per una scelta basata su piccole cose, come ad esempio la paura di non poter festeggiare il Natale. È stato un alone di dubbio che si è diffuso lentamente e ha fatto cambiare idea anche a chi aveva avuto, per cinque anni, altri figli da noi». Ora nell’unica prima di Corti, ci saranno 14 alunni stranieri: tanti romeni, un gruppo di marocchini, poi bosniaci, croati, albanesi. I sette italiani, uno dopo l’altro, sono finiti negli istituti delle altre sei frazioni di Costa Volpino. Tra queste, Corti è quella con la più alta percentuale di residenti stranieri, con oltre cento iscritti alla scuola primaria. Una tendenza in aumento, se si considera che nella quinta dello scorso anno erano solo sette, mentre nella nuova prima avrebbero doppiato gli italiani. Perché a Corti le case, spesso vecchie e senza manutenzione, costano di meno, e vengono affittate ai tanti extracomunitari che lavorano nelle campagne o nelle fabbriche come la Tenaris di Dalmine.
«Nelle ultime settimane tanti genitori sono venuti a chiedere: «Ma è vero che sono tutti extracomunitari?” — racconta la maestra Ducoli — È nata così una specie di preoccupazione, con le famiglie che si sono parlate e hanno ritirato i figli. Non credo si possa parlare di razzismo. In questi anni non c’è mai stato in aula un problema per le feste delle diverse religioni. Anche le famiglie arabe non sono mai venute a protestare se si parlava del Natale, capiscono che a scuola c’è un approccio culturale, non religioso. Piuttosto, abbiamo avuto problemi con i Testimoni di Geova, italiani, che chiedevano di cancellare Halloween».
Eppure da nord a sud, la maggioranza di bambini stranieri nelle classi agita le famiglie italiane. Che protestano, ritirano i figli dagli istituti vicini e li iscrivono da un’altra parte. È già successo a Roma, all’istituto “Carlo Pisacane”, dove le mamme hanno scritto all’ex ministro Gelmini: con un italiano su 23 «siamo costrette a migrare da qualche altra parte. Non per razzismo, ma perché l’integrazione è impossibile». A Ragusa, nel 2009, sono stati invece i professori a scrivere al sindaco per denunciare «il razzismo strisciante» al comprensivo “Giovanni Pascoli”. «Troppi genitori i cui figli stanno completando il percorso delle elementari — affermavano — non li stanno iscrivendo alla media e siamo indignati». E a Milano, c’è la storia dell’elementare di via Paravia, al quartiere San Siro. Dopo la decisione del ministero di cancellare, nel 2012, le nuove prime perché avevano troppi figli di immigrati, scelta che avrebbe condannato l’istituto a morte certa, quest’anno si riparte con due nuove prime: sette bimbi italiani e 27 stranieri, il numero più alto di figli di immigrati tra le scuole milanesi.
La Repubblica 08.09.13
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Kyenge: “No alle classi ghetto tutti insieme si studia meglio”, di VLADIMIRO POLCHI
«Sbaglia chi rifiuta la convivenza con alunni d’origine straniera». Cécile Kyenge, rispondendo all’appello di papa Francesco per la pace in Siria, ha passato la giornata digiunando. Alla lettura della notizia che arriva da Bergamo, il ministro dell’Integrazione è cauto: «Non è facile giudicare, ma la scuola non può rinunciare al suo ruolo di laboratorio d’integrazione».
Eppure non è il primo caso di “fuga” di italiani dalle classi multietniche.
«Per questo è necessario un percorso all’interno della scuola, che coinvolga insegnanti, presidi, genitori. Bisogna far capire che molti bambini definiti stranieri, in verità stranieri non sono. Anche per questo è urgente una riflessione, a tutti i livelli, che ridisegni il concetto di cittadinanza».
Per il ministero dell’Istruzione, il tetto indicativo del 30 per cento di alunni stranieri per scuola, introdotto con la circolare Gelmini dell’8 gennaio 2010, è ancora in vigore.
Che ne pensa?
«È un’indicazione discussa e spesso non applicata dalle scuole. Ripeto: ci sono tanti alunni figli di immigrati, ma nati e cresciuti in Italia. Come possiamo definirli ancora stranieri e costringerli dentro quella quota del 30 per cento?».
Non crede sia comprensibile che un genitore possa essere preoccupato che il percorso scolastico del figlio sia rallentato dall’eccessiva presenza di alunni d’origine straniera in classe?
«Sta alla scuola la responsabilità di far capire e di promettere ai genitori che la didattica non sarà rallentata dal carattere multietnico della classe e anzi che questo potrà essere una ricchezza».
Ma anche per i bambini stranieri non è meglio stare in classi più equilibrate, in mezzo ai compagni italiani?
«Certo, vanno evitati i ghetti. Mettere tutti i bimbi nati da genitori stranieri in una classe sarebbe una discriminazione».
Lei continua a essere oggetto di attacchi. Come precede il suo lavoro?
«Agli attacchi diretti si sono ora aggiunti quelli indiretti, che mirano a screditare il mio impegno. Mi si attribuiscono affermazioni che non ho mai pronunciato, come quella di obbligare gli italiani a dare le seconde case sfitte ai rom. E si fanno girare su internet. In tal modo si prova a delegittimarmi, a ostacolare il lavoro del mio ministero. Invece molto abbiamo fatto in poco più di cento giorni: dal nuovo bando per il servizio civile, all’impegno sul territorio per le buone pratiche d’integrazione. Pratiche che passano senz’altro anche dalla scuola».
La Repubblica 08.09.13
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