C’è stata una discreta discussione attorno alle recenti decisioni del Governo sull’annoso tema dei precari pubblici. Ovverosia di quella miriade di donne e uomini che ogni giorno, magari da anni, vestono i panni di chi sta dietro uno sportello facendo i conti con l’ira quotidiana dell’anti-Stato, oppure con chi veste la divisa del vigile del fuoco o dell’infermiere o dell’insegnante. I prestatori di servizi essenziali chiamati dallo Stato imprenditore ad agevolare le nostre vite stressate. Ma lasciati alla balia degli eventi, senza un contratto stabile. Ora sarebbe suonata la campana dell’addio a tale condizione ingiusta che a volte può anche riflettersi nella prestazione di lavoro, con danni per i cittadini. Ma è stata davvero una svolta quella promossa dal «governo di necessità»? Intanto i dati apparsi dicono che gli interessati al grande rientro nella normalità saranno una minoranza. La segretaria della Cgil, Susanna Camusso, ha spiegato come per diverse ragioni non si tratti di una soluzione capace di coinvolgere i 150mila precari pubblici. C’è però anche chi grida allo scandalo per le concessioni fatte almeno a una parte dei precari. La bandiera di questa contestazione è quella del cosiddetto «merito». Un merito da misurare attraverso appositi concorsi, senza assegnare alcun valore alle esperienze fatte dai precari nel corso di lunghi anni. Avete spento incendi, soccorso malati, affrontato file di collerici cittadini? Non conta nulla. Sarà il concorso a decidere se siete degni di un contratto stabile. Non solo. Ha scritto lavoce. info che «la stabilizzazione finisce per essere una sanatoria per comportamenti illegittimi ». Le amministrazioni che li hanno assunti con contratti a termine «hanno violato proprio le disposizioni già vigenti». Così «i contratti si dovrebbero considerare nulli e i dirigenti che hanno effettuato le assunzioni dovrebbero risponderne come danno all’erario ». Sembra rispondere alle varie critiche il ministro della Funzione pubblica, Gíanpiero D’Alia, che addirittura dichiara: «Non faremo stabilizzazioni. Abbiamo disegnato un percorso per affrontare, gradualmente, il nodo del precariato… ». Per poi garantire che saranno selezioni che «garantiranno la meritocrazia ». Meritocrazia, ecco la parolona che gonfia le gote di tante persone. E allora sarebbe il caso di entrare nel merito. Come fare in modo, ad esempio, che un concorso misuri le capacità, i saperi, i «meriti» di una donna o di un uomo? Quali quesiti porre, a quali indagini sottoporre un vigile del fuoco, un infermiere, un insegnante, un impiegato? Quesiti eguali per tutti o differenziati? Attestare le sue conoscenze di testi e decreti legislativi, o di strumenti informativi innovativi sfornati da Apple o Microsoft? Vien da sospettare, come forse possano valere molto di più, le esperienze fatte sul campo, le osservazioni scaturite osservando le prestazioni d’opera di chi per anni ha lavorato nel servizio pubblico. E a questo proposito torna bene l’osservazione dei sindacati quando dicono che occorre un esame attento della realtà. «Agli impegni pubblici devono seguire risultati. Non vorremmo trovarci per l’ennesima volta di fronte a proclami tanto seducenti quanto effimeri. Il rischio è di creare aspettative per poi disattenderle, come già successo in passato». Insomma occorrerà discutere la partita nel dettaglio. Come ha aggiunto il segretario confederale Cisl, Fulvio Giacomassi, occorrerà attivare «i dovuti meccanismi di controllo e gli interventi sulla spesa incoerente di beni e servizi e rendere disponibili le risorse economiche e le strumentazioni contrattuali necessarie per accompagnare tali cambiamenti, coinvolgendo i lavoratori e le loro rappresentanze ». Questo è il punto, anche per verificare le meritocrazie più o meno presunte. Non mirava forse a questo quella «privatizzazione » del rapporto di lavoro pubblico tanto cara a un leader sindacale come Bruno Trentin, a un fine giurista come Massimo D’Antona, fatta propria da un ministro come Franco Bassanini? Era una riforma che doveva appunto creare anche nel lavoro pubblico, controparti, dialettiche, reparto per reparto, settore per settore, abbandonando l’antica strada dei clientelismi e delle inefficiente.
L’Unità 02.09.13