Se state decidendo in quale parte d’Italia vivere, pensateci bene. Perché a seconda della Regione, essere uomo o donna può cambiare radicalmente le cose: si possono avere più possibilità in tema di lavoro, reddito, potere decisionale e tempo.
Mentre il governo sembra ormai aver rinunciato a un ministero per le Pari opportunità, Banca d’Italia pubblica un’analisi che svela quanto pesa il cosiddetto «gender gap». Il rapporto, firmato da Monica Amici e Maria Lucia Stefani, applica il «gender equality index» a livello locale: partendo da uno studio europeo, l’indice calcola l’uguaglianza di genere nelle varie Regioni. Le studiose lo hanno applicato per la prima volta (scala da zero a uno) da Nord a Sud elaborandolo sui quattro temi di cui sopra. Il risultato? Se l’Italia ha ancora molto lavoro da fare in tema di pari opportunità, alle Regioni non basta lo straordinario.
Fermo a un punteggio di 0,30 nel 2005, nel 2010 il nostro Paese è migliorato di poco arrivando a un indice di uguaglianza di genere di 0,36. Più virtuoso il Nord Ovest (0,43), seguito dal Nord Est (0,40), il Centro (0,41) e infine il Sud con le isole (0,27). «L’indice viene calcolato elaborando i dati Istat, del ministero dell’Interno e i dati regionali in tema di differenze tra uomo e donna sull’accesso al lavoro, sulla possibilità di far carriera, sulla remunerazione e sull’uso del tempo — precisano le autrici nello studio —. Perché anche in quest’ultimo caso esiste un gap nell’uso del tempo libero e della cura per la casa».
L’archivio Istat lo conferma: il divario di genere nei lavori domestici raggiunge con i figli piccoli anche le 40 ore alla settimana, contro le 11 ore della Svezia e le 20 ore di Francia e Stati Uniti.
Dalla mappa di Bankitalia è il Piemonte a occupare il gradino più alto del podio dei virtuosi in tema di pari opportunità. Secondo e terzo posto a Emilia Romagna e Liguria. In fondo alla classifica il Sud con la Calabria, che dal 2005 al 2010, è riuscita addirittura a peggiorare la sua performance. «Il Sud è senza ombra di dubbio più indietro su questi temi rispetto al resto d’Italia — conferma Paola Profeta, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi ed esperta di Economia di genere — le variabili culturali contano, ma bisogna anche considerare che nel Mezzogiorno c’è molto lavoro nero, fenomeno che coinvolge in particolar modo le donne e che nelle statistiche non viene considerato».
Ma se, come ci si aspetta, i posti più alti nella graduatoria Bankitalia spettano al Nord, non mancano alcune sorprese. Lombardia e Veneto, che nel 2005 superavano l’indice di uguaglianza di genere a livello nazionale, nel 2010 hanno tirato il freno a mano posizionandosi sotto la media italiana. «Significa che non sono riuscite a sfruttare il vantaggio che avevano e hanno tirato i remi in barca — continua Profeta —. Non è un bel segnale perché almeno in teoria sono considerate Regioni più vicine all’Europa in tema di lavoro e pari opportunità». Nella pratica evidentemente qualcosa non va. «Oltre alla divisione sbilanciata del tempo, le donne italiane continuano ad essere ampiamente sottorappresentate nella politica e nelle istituzioni» precisa il rapporto Bankitalia. E il concetto, al netto dei risultati delle elezioni di febbraio 2013 (quando le donne in parlamento sono passate dal 20,2% al 30,8% del totale) e della legge sulle «quote rosa», è ribadito anche dal «gender equality index» dell’Eige. L’European Institute for Gender Equality ha da poco pubblicato la classifica sull’uguaglianza di genere i cui risultati non si discostano molto da quanto pubblicato da Palazzo Koch: l’Italia è al quartultimo posto nell’Ue a 27.
Il Sole 24 Ore 31.08.13