E’ inaccettabile che Silvio Berlusconi, condan nato in via definitiva per frode fiscale, cerchi di trasformare la sentenza che lo riguarda in una questione di Stato, pretendendo che principi fondamentali della Costituzione diventino oggetto di baratto. Ma non meno vergognoso è questo dibattito pubblico, che sembra dimenticare le sofferenze dell’Italia in carne e ossa, i problemi e le domande di famiglie, imprese, lavoratori che rischiano di perdere o hanno già perso il posto. Un dibattito pubblico nel quale il governo viene usato come arma di ricatto, o come leva di improbabili scenari politici, senza mai dedicare al merito delle scelte, alle opportunità, alle questioni legate alla ripresa o alle strategie europee, la considerazione che si dovrebbe in un Paese normale.
C’è la politica capovolta nel disperato tentativo di Berlusconi di sottrarsi alla condanna per un (grave) reato comune. C’è la politica capovolta nella spregiudicatezza di Grillo, che difende persino il Porcellum pur di ottenere le elezioni subito e che auspica le macerie del Paese per continuare ad alzare la bandiera di una vittoria totalitaria (e dunque di un potere totalitario). Ma c’è la politica capovolta anche nella sinistra che si accanisce sulle regole, sulle date del congresso o delle primarie: come può il Pd, sulle cui spalle grava la responsabilità maggiore del governo e della tenuta istituzionale, immaginare un confronto interno sulla propria leadership e sul proprio rinnovamento che non faccia perno sull’Italia reale, sulla strada per uscire dalla crisi, sul futuro del nostro modello sociale? Il congresso del Pd va fatto, e presto. Ma non può sfuggire che le procedure statutarie interessano una quota sempre più ristretta del suo stesso popolo.
Anche Berlusconi sbaglia i calcoli, se pensa davvero che l’elettorato si appassioni alle sue vicende giudiziarie come in passato. I sondaggisti di corte gli assicurano una crescita di consensi, legata al suo ruolo di «vittima». Ma è lecito dubitare. L’impressione è contraria: che mai come questa volta le preoccupazioni prevalenti siano altre. La crisi che ci attanaglia. Il futuro tremendamente incerto dei nostri figli. Mentre le speranze inseguono questi primi segnali di ripresa e le misure finora più efficaci del governo, a partire dai primi pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione.
Stia attento Berlusconi nel minacciare la caduta del governo Letta, se non riceverà alcun salvacondotto. Molti dubitano che abbia davvero la forza per aprire una crisi. In ogni caso, nessuna persona di buon senso potrebbe accettare che l’assurda pretesa di bypassare una sentenza possa condizionare l’azione del governo, in un frangente così delicato della crisi economica, quando è in gioco il destino stesso dell’Italia in Europa. Berlusconi potrebbe forse reagire a questa sua debolezza con una strategia un po’ più articolata: anziché far saltare subito il banco, adottare una tattica di logoramento, in modo che fra qualche settimana nello stesso Pd crescano le insoddisfazioni e, complice il congresso, si possa aprire la strada ad elezioni anticipate consensuali (nella primavera del 2014).
Ma, ad una simile insidia, non si può che rispondere con fermezza. Innanzitutto, facendo rispetta- re la legge. Nessun cedimento a culture forcaiole, come accusano i fan del Cavaliere: semplicemente l’affermazione dello Stato di diritto, del principio di separazione dei poteri. La legge Severino è stata votata anche dal Pdl: va dunque applicata. Del resto, l’infondatezza delle richieste della destra è testimoniata dalla loro confusione e contraddittorietà: la grazia (che presuppone la piena accettazione della sentenza), l’amnistia (impensabile per reati come quelli commessi da Berlusconi), un nuovo indulto, un rinvio purchessia, nuove e fantasiose norme ad personam… Non c’è soluzione politica diversa dalle dimissioni di Berlusconi da senatore e da un suo passo indietro nel Pdl (o Forza Italia, che dir si voglia). Tutto il resto è impossibile, prima che sconcio. Il paragone con l’amnistia di Togliatti è a dir poco grottesco. Sembra una barzelletta. Ed è offensivo anche tirare in ballo oggi l’emergenza carceri, proprio da parte di quella destra che nel 2006 organizzò sull’indulto la più ingiusta e feroce campagna contro il governo Prodi (ironia della sorte: proprio di quell’indulto Berlusconi si è ora avvantaggiato per ridurre la pena a suo carico). Una sinistra che si rispetti, tuttavia, non si può limitare a compiere questo dovere istituzionale. Deve trovare la forza per rimettere al centro non Berlusconi e i suoi guai, ma le questioni legate all’uscita dalla crisi. Il governo non è un accidente, né una tregua. Non è il governo che il Pd avrebbe voluto e che ha proposto agli elettori. Ma, dopo aver commesso tanti errori, ora non può aggiunge- re quello di abbandonare il governo Letta. Al contrario, il Pd deve chiedere di più, incalzarlo, metterci dentro idee. Deve dargli una missione che sia congeniale ad un cambiamento futuro. Solo così, del resto, il governo Letta può vivere e dare il meglio di sé. Ci sono emergenze da affrontare: gli esodati, il rifinanziamento della Cassa in deroga, la nuova tassazione sulla casa (che deve aiutare i più poveri e i ceti medi, non esonerare i più ricchi), l’annullamento dell’aumento dell’Iva. Ci sono progetti di medio periodo per le politiche industriali, per l’occupazione, per un migliore utilizzo dei Fondi europei. E poi ci sono le riforme: quella elettorale anzitutto, ma non solo. Senza un superamento del bicameralismo paritario, dunque senza alcune riforme costituzionali, anche le prossime elezioni rischiano di produrre uno stallo.
Investire sul governo non vuol dire affatto santificare le larghe intese o piegarsi all’insopportabile favola della «pacificazione». Vuol dire rimettere l’Italia in cima all’agenda. Aver dato vita a questo governo, politico e non tecnico, è stata una scelta coraggiosa. Se il Pd non l’avesse fatta, non avrebbe vinto le amministrative. Probabilmente non sarebbe neppure sopravvissuto alle lacerazioni del- le presidenziali. Avrebbe lasciato campo libero a Berlusconi e Grillo. Il governo non è nato per redimere il Pd dagli errori compiuti. Ma può aiutarlo a riscoprire la propria vocazione per il Paese. Tanti politicismi, che oggi vanno per la maggiore, so- no oggi adatti agli italiani che hanno la pancia pie-na. Invece chi non arriva alla fine del mese pretende dalla politica risposte concrete, pur nella scarsità di risorse. La domanda di governo è più forte proprio nei ceti sociali che pagano di più la crisi. E se un Berlusconi disperato dovesse infine colpire il governo Letta, il Pd dovrà reagire tentando ancora di dare una risposta di cambiamento in questa legislatura, per portare l’Italia e le sue istituzioni in una zona di maggior sicurezza.
L’Unità 25.08.13