Stabilire regole certe per gli stagisti è difficile, anzitutto per la assurda giungla di competenze che circonda la materia, come ammette il sottosegretario al Lavoro, Carlo Dell’Aringa. In parte i tirocini sono di competenza del Governo, in parte delle Regioni, che sulle linee guida concordate con l’ex ministro Elsa Fornero stanno però accumulando ritardi «gravi», osserva Dell’Aringa. L’economista ammette che gli abusi segnalati da questo giornale sono «uno scandalo», che occorre aumentare i controlli e stabilire regole per gli stagisti curriculari. E sostiene che il Governo si impegnerà, anzitutto, a censirli.
Dell’Aringa, perché attorno ai tirocini si accumulano così tanti abusi? Il governo non può stabilire regole certe?
«Il problema è che la Corte costituzionale boccerebbe tutto. Bocciò il tentativo di Elsa Fornero di regolamentare gli stage perché effettivamente la formazione è di competenza delle Regioni. E di recente, quando abbiamo tentato di tornare sul tema, di riproporre delle regole per i tirocinanti, le commissioni Affari costituzionali del Parlamento ci hanno avvertiti che saremmo andati incontro ad un’altra, sonora bocciatura della Consulta».
Le Regioni stanno adottando con tempi lunghissimi le linee guida concordate con Fornero. Non potreste costringerle ad accelerare?
«Assolutamente sì, è quello che intendiamo fare. Ci sarà a breve un incontro con i governatori sull’apprendistato: chiederemo conto dei gravi ritardi accumulati sulle regole per gli stage e faremo pressioni perché accelerino».
Ieri abbiamo raccontato la storia di una stagista che ha lavorato in una famosa casa editrice ed è stata sfruttata per tre mesi, senza un centesimo di compenso e senza uno sbocco lavorativo vero.
«Casi del genere sono uno scandalo. Il problema dei controlli c’è, è vero, sono del tutto insufficienti e ci impegneremo a intensificarli. D’altra parte, le imprese cercano sempre la flessibilità maggiore. E un altro problema che sottolineano gli esperti quando si parla di migliorare le condizioni degli stage, è che si rischia una sovrapposizione con l’apprendistato o con altre forme di contratti flessibili. Dobbiamo sempre ricordarci che lo stage fa parte della formazione, non è un contratto di lavoro. Non prevede contributi, non ci sono tutele, niente di niente. Bisogna fare attenzione a non renderlo troppo “attiguo” rispetto all’apprendistato».
Avete regolamentato i tirocini post-studi, quelli cosiddetti extracurriculari: non si rischia una fuga delle aziende ad accaparrarsi quelli curriculari, che sono in una zona d’ombra?
«Quello curriculare è di competenza nazionale, effettivamente, in particolare del ministero dell’Istruzione. Il Governo potrebbe occuparsene, se volesse».
E vorrà?
«Sarebbe opportuno. Però il punto è che bisognerebbe incentivare molto gli stage durante gli studi. Noi siamo in fondo alle classifiche europee, sui ragazzi che fanno gli stage durante gli studi, da noi vale il principio “study first, then work” (prima studi, poi lavori, ndr)».
Forse è anche un problema culturale.
«Verissimo. In molti Paesi del Nordeuropa i giovani partono per un anno e vanno in giro per l’Europa o per il mondo a lavorare, ad accumulare esperienze, ad imparare le lingue. E nessuno si sognerebbe di pensare che sia una perdita di tempo».
Un altro problema rilevante è che non c’è neanche un censimento, non si sa neanche quanti siano gli stagisti, in Italia.
«È vero, è un filone però che stiamo seguendo con attenzione, perché puntiamo ad un’agenzia nazionale dell’impiego. Il problema delle banche dati interessa molto non solo me, ma anche il ministro Giovannini e il presidente del Consiglio Letta».
La Stampa 23.08.13