Il nostro futuro? L’istruzione, perché oggi quello che sai è quello che vali. Dunque bisogna aprirla a tutti, come chiave della crescita e dell’eguaglianza economica, diventata il nuovo diritto civile più importante. Pari opportunità, per chiunque le voglia, che poi si trasformano in conoscenza dei cittadini e leadership globale dell’intero Paese.
Per attraversare questa nuova frontiera, che sta al centro del secondo mandato, il presidente Obama è salito sull’autobus e sta attraversando New York e la Pennsylvania. Parla ai giovani, che hanno fatto la differenza nelle elezioni dell’anno scorso, e alle loro famiglie, nella speranza di riportare su il gradimento nei sondaggi. Parla alla classe media, su cui si fonda la ripresa economica, e la possibilità di mettere in un angolo l’opposizione repubblicana che blocca ogni iniziativa alla Camera.
Camicia aperta, pantaloni kaki da gita al mare con le figlie, Obama ha cominciato la sua campagna alla University at Buffalo. L’ha introdotto Silvana, una ragazzina appena arrivata al college, che ieri stava montando il futon nella sua stanza, e oggi ha presentato l’uomo più potente del pianeta: «Il mio futuro, e quello del Paese, dipende dalle possibilità che avrò di imparare».
Il presidente ha sottolineato i 7,3 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi 41 mesi, i timidi segnali di crescita che si vanno consolidando. Però ha ammesso che non basta. La classe media continua ad annaspare, e uno dei primi passi da compiere per aiutarla è abbassare i costi delle università e migliorare la loro qualità, perché così da una parte le famiglie risparmiano soldi che possono spendere in altri modi, e dall’altra i loro figli si costruiscono una vita in cui potranno competere contro la concorrenza internazionale. «Non ci sono molte cose più importanti dell’istruzione, per l’idea della mobilità economica. Un’educazione superiore è il miglior investimento che potete fare per il vostro futuro».
Il problema è rendere questo investimento possibile per tutti. Quando la settimana prossima Obama celebrerà il cinquantesimo anniversario della Marcia di Martin Luther King, dirà che la parità delle opportunità economiche è il nuovo diritto civile più importante, ma oggi è quasi impossibile realizzarlo: «Io ho finito di ripagare i debiti per la mia università quando sono diventato senatore, a un’età in cui invece avrei dovuto mettere da parte i soldi per il college delle mie figlie».
I numeri gli danno ragione. Il costo medio di una università privata negli Usa è 24.000 dollari all’anno, ma le migliori accademie del’Ivy League superano i 50.000, mentre gli istituti pubblici costano 12.000 dollari. Quando arriva alla laurea, ogni studente americano ha in media 26.000 dollari di debiti per ripagare i prestiti ricevuti: comincia la vita lavorativa con una palla al piede. Il sistema non funziona neppure per lo stato che presta i soldi, perché il debito totale nazionale non restituito dagli ex studenti ammonta a un trilione di dollari, e Washington ormai non spera più di rivedere la maggior parte di questi soldi. I costi, poi, sono anche un freno per le iscrizioni. È vero, infatti, che dal 2000 al 2010 sono aumentate del 37%, arrivando a un totale di 21 milioni di studenti universitari, ma gli americani fra 18 e 24 anni d’età sono saliti a quasi 31 milioni, e quindi ci sono ancora dieci milioni che rinunciano all’istruzione.
Obama pensa che sia un disastro per i giovani, e un’ipoteca sul futuro degli Usa, rispetto ai Paesi che investono e facilitano l’accesso all’istruzione superiore. Quindi ha proposto un piano in tre punti, per rovesciare la situazione: finanziare le università in base alla performance; promuovere innovazione e competizione, assicurare che il debito degli studenti rimanga sostenibile. Il primo punto richiede la creazione di una graduatoria delle università sulla base di quanto imparano gli studenti, e quanto accessibili sono i costi, per finanziarle in relazione a quanto riducono i prezzi. Il secondo prevede investimenti nella tecnologia, e lo sviluppo dei corsi via internet che insegnano allo stesso livello degli altri, ma costano un decimo. Il terzo vuole un sistema in cui gli studenti, dopo la laurea, non pagano più del 10% dei loro stipendi per ripianare il debito. Riuscirà a convincere il Congresso? «Questa è l’unica strada per garantire che chiunque lavora sodo, ce la può fare. Questa è l’America».
La Stampa 23.08.13