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“Il forte rischio di una ripresa senza lavoro”, di Nicola Cacace

Aumenta il numero di ministri che prevedono una ripresa. Aveva cominciato Saccomanni, hanno continuato Letta e il ministro Zanonato tra gli altri, accennando ad una ripresa del Pil a fine d’anno o inizio 2014. Pochi parlano del rischio, reale, di una ripresajobless, senza occupazione, che, purtroppo, già si vede dai primi dati. Dall’inizio dell’estate gli ordini, la produzione industriale, la fiducia delle imprese hanno cominciato a salire, sia pure di poco, mentre l’occupazione e gli investimenti continuano a scendere. Il credito bancario alle imprese che era sceso di 3 miliardi ad aprile rispetto al mese precedente, è sceso di 4 a maggio e del doppio, -8 a giugno. Non sono buoni segnali per investimenti che languono da più di dieci anni. Lo stesso dicasi per l’occupazione che, secondo l’ultima trimestrale Istat 2013, cala sia rispetto al trimestre precedente (-422mila unità), che su base annua (-410mila). Mentre il tasso di occupazione (occupati su popolazione 15-64 anni) continua scendere, 55,5% nel 2013 contro il 64% europeo. C’è l’urgenza di alcuni provvedimenti a costo zero o a costo minore di cui, purtroppo, nessuno del governo parla, per eliminare i danni dell’uso indiscriminato della Cassa integrazione, dell’orario straordinario e dei bassi salari dei mestieri più umili. Oggi, se un’azienda italiana deve ridurre la produzione del 25% chiede la Cig per il 25% dei suoi dipendenti, accollando allo Stato una spesa di quasi 1500 euro/mese, tra indennità e contributi figurativi per ciascun di pendente. In Germania un’azienda nelle medesime condizioni, riduce l’orario del 25% a tutti i dipendenti, accollando allo Stato la metà del salario perduto per meno orario, con una spesa complessiva che è un terzo rispetto a quella della Cig italiana, con uno strumento simile al nostro contratto di solidarietà. L’esempio più recente ed eclatante è quello dello stabilimento Fiat di Pomigliano, dove, di fronte ad un aumento degli ordini della Panda, Marchionne ha rifiutato la richiesta sindacale di applicare il contratto di solidarietà (versione in positivo), preferendo chiedere ai dipendenti che già lavorano cinque giornate di fornire un sabato di orario straordinario. Questi comportamenti fanno almeno tre danni, un costo per lo Stato tre volte superiore tra Cig e contratti di solidarietà, a parità di riduzione del monte ore, l’aumento del mercato di lavoro nero, la condizione di perdita di dignità in cui si precipitano migliaia di lavoratori costretti a rimanere a casa. Tra i casi più noti di aumento di lavoro nero è quello del distretto di Puglia e Basilicata del divano, dove migliaia di operai in Cig di Natuzzi ed altre imprese, lavorano in nero per alcune delle imprese che hanno messi i loro lavoratori in Cassa integrazione. Un altro fattore negativo della ripresa jobless è lo straordinario. All’aumento degli ordini l’imprenditore, invece di procedere ad assunzioni anche temporanee, preferisce aumentare lo straordinario, spinto dal fatto che in Italia, grazie alla fiscalizzazione, l’ora di straordinario costa meno dell’ora ordinaria. Così accade che siamo il Paese europeo (dopo la Grecia), con gli orari annui di lavoro più lunghi, 1778 nel 2010, anno di crisi, contro 1419 in Germania e 1570 in Europa (dati Ocse). Nei paesi europei più attenti alle politiche per l’occupazione, da anni lo straordinario è stato sostituito con una banca delle ore, cui imprenditori e lavoratori attingono per il loro bisogni di flessibilità e di qualità della vita, senza togliere lavoro ai giovani. Lo stesso calo dei crediti alle imprese segnalato a giugno è un cattivo segnale indicativo del fatto che molte imprese preferiscono aumentare la produzione con lo straordinario più che con gli investimenti Ogni tanto si sentono lamentele industriali contro una supposta mala voglia degli italiani di accettare i lavori disponibili. L’ultimo è stato un industriale della plastica veneto sul Corsera di giorni fa. La verità è un’altra, l’Italia è il Paese con le più basse paghe per molti lavori operai, e non solo. Non siamo solo il Paese con paghe più basse d’Europa, siamo anche quello con le diseguaglianze più alte. In nessun Paese europeo un’infermiere professionale guadagna meno di 3mila euro al mese, mentre in Italia non arriva a 1500. Per evitare una ripresa senza lavoro, il Governo, oltre a misure attive di politica industriale, deve promuovere interventi a costo zero su contratti di solidarietà, straordinario e diseguaglianze, necessari per ridurre i costi di assistenza ed aumentare gli effetti occupazionali, che altrimenti rischiamo di non avere anche quando e se avremo la benedetta ripresa del Pil.

L’Unità 22.08.13

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