L’ultima trovata di Berlusconi, quella di fornire solo un appoggio esterno al governo, svela un confuso oscillare tra vacue minacce di sabotaggio e calde promesse di contrattazione. Il Cavaliere appare come un capo ferito. Con un’anima incendiaria annuncia saccheggi imminenti. E, con uno spirito più calmo, asseconda una volontà di venire a patti prenotando tempi di bonaccia. Un attore politico prevedibile nelle sue mosse tattiche non lo è stato mai. Ha sempre avuto un che di eccentrico rispetto alla ratio politica. Con la sua propensione all’improvvisazione e al gioco irriflessivo, Berlusconi ha maltrattato ogni logica politica orientata secondo una strategia coerente. Ma adesso, con le sue uscite alquanto stravaganti e mutevoli, sfugge ad ogni canone di un agire politico capace di tenere i tasselli di una prospettiva ben congegnata.
Riposte le velleità di operare come un oscuro fattore di destabilizzazione, con la cinica determinazione di chi è pronto ad accarezzare il caos pur di tenere caldo lo spirito di vendetta, il Cavaliere placa le intemperanze annunciate e prova a lanciare messaggi più distensivi. Quando rinuncia a far saltare il tavolo con l’avviso al governo di avere i giorni contati, Berlusconi torna a invocare
protezioni e soccorsi che nessun potere però può promettergli sul serio.
Margini realistici per stipulare un patto che gli assicuri l’agibilità politica non esistono. Tirare in ballo il capo dello Stato, per coinvolgerlo in operazioni tecnicamente impossibili di salvataggio ad personam, o anche richiedere all’aula di tramutare il Parlamento in un quarto grado di giudizio che annulli la sentenza della Cassazione, è segno di infantilismo politico. La salvezza del Cavaliere, che andrebbe nei suoi proclami scambiata con l’evanescente promessa di una stabilità politica dalla durata almeno biennale, equivarrebbe alla decadenza definitiva dello Stato. In gioco c’è la dissoluzione istantanea di quella trama dei poteri separati che da alcuni secoli connota l’età moderna. Se incalcolabili (in una fase di grave crisi e perdurante recessione) sarebbero i costi economici di una rottura della governabilità, altrettanto nefaste diverrebbero le conseguenze della sospensione repentina dei principi ispiratori della civiltà giuridica europea.
Il salvacondotto, che Berlusconi a gran voce invoca, non è concepibile con strumenti giuridici. Nessun potere può oggi dichiarare formalmente che un potente in quanto tale è da ritenersi legibus solutus. L’immunità, come contropartita per un atteggiamento più responsabile verso le sorti del Paese, comporta la caduta drastica di pezzi portanti della cornice statuale. Su questi assetti non negoziabili (legalità, separazione dei poteri, eguaglianza), il Pdl deve desistere. Non c’entra l’antiberlusconismo. È in questione la credibilità stessa dello Stato, il suo prestigio interno e la sua credibilità internazionale. In fondo, è proprio la superiore ragion di Stato che suggerisce di accantonare ogni proposito di elargire dei salvacondotti. La sospensione, per meri calcoli politici, dei pilastri della legalità coinciderebbe con la perdita di ogni autorevolezza delle istituzioni fondamentali dello Stato di diritto. Non esistono margini cospicui per la contrattazione. Troppo elevati
sarebbero i suoi costi istituzionali e culturali. Farebbe bene quindi Berlusconi a riconciliarsi con la realtà di uno Stato di diritto, per evitare mosse devastanti e inutili. Il suo potere di ricatto e interdizione, quello che gli fa evocare caos e perdizione generale, poggia unicamente sulla sponda che di fatto viene offerta dalle potenze congelate di Grillo. Senza le truppe del comico genovese, che in nome dell’intransigenza più assoluta assicurano un incredibile spazio di manovra al Cavaliere, la sua potenza di fuoco sarebbe davvero ridicola. Ma contare in eterno sulla benevolenza delle armate grilline, come condizione invidiabile per rivendicare un plusvalore politico che consente di decretare la vita e la morte dell’esecutivo, non sarebbe per Berlusconi una cosa saggia. In condizioni critiche, una pattuglia di senatori ragionevoli potrebbe pur sempre staccarsi dagli ordini assurdi e irricevibili di Grillo e Casaleggio.
E anche dentro il Pdl Berlusconi avverte già che qualcosa comincia a sfuggire alla sua volontà di controllo e comando. Una componente interna, che ragiona in termini politici, e intuisce quindi che il tempo di un Cavaliere che marcia come potenza espansiva è ormai archiviato, potrebbe dargli un gran filo da torcere. All’ordine folle di far saltare il governo di servizio, per precipitare mestamente verso il baratro, in tanti potrebbero rispondere con la diserzione esplicita. E poi anche quanto accade oggi nel mondo cattolico (a Rimini ad esempio) dovrebbe mettere in guardia Berlusconi. È vero che il suo partito privato conta su una potenza aziendale inossidabile. Ma è anche vero che per vincere il Cavaliere ha sempre potuto contare su molteplici casematte sparse nei territori, su ricche trame di sostegno intessute con influenti ambienti cattolici. In questi mondi un tempo fedeli, il valore della stabilità ha fatto breccia. E in fondo Berlusconi che apre confusamente ad un governo di minoranza del Pd è consapevole che non può barattare la sua salvezza personale con la stabilità richiesta per la salvezza del Paese.
L’Unità 22.08.13