Il verbo scelto da Silvio Berlusconi per rassicurare il popolo del centrodestra intorno al suo futuro e alle sue intenzioni («Io resisto») ha un grande potere evocativo ed è foriero di una evidente suggestione: infatti, rimandando al drammatico «resistere, resistere, resistere» pronunciato da Borrelli nell’inverno di 11 anni fa, l’annuncio del Cavaliere fotografa un evidente capovolgimento delle posizioni (e dei rapporti di forza).
E quasi si propone come la chiusura di un cerchio diabolico.
I due orgogliosi annunci di resistenza rappresentano forse i momenti più cupi e aspri di uno scontro – quello tra il centrodestra e parte della magistratura – che condiziona da ormai due decenni la vita politica italiana: una sorta di Guerra dei Vent’anni dentro la quale, però, c’è un pezzo di storia di questo Paese e la parabola di un leader che ora si scopre solitario e senza successori. Non solo. Gli effetti di questa Guerra – ed i vizi seminati – si riverberano oggi sull’«affaire Berlusconi», trasformandolo in qualcosa di diverso da quel che semplicemente è: da caso giudiziario a caso politico, con il conseguente corollario di polemiche, richieste e proposte inevitabilmente confuse e spesso non praticabili.
La trasformazione dei problemi giudiziari di Silvio Berlusconi in problemi «politici» – meglio ancora: in problemi della politica – è stata in questi vent’anni una costante dell’agire del centrodestra italiano. Non a caso, il «resistere, resistere, resistere» pronunciato nel gennaio del 2002 dall’allora Procuratore generale della Corte d’Appello di Milano, era appunto riferito alle annunciate nuove leggi del governo Berlusconi in materia di giustizia: leggi capaci di determinare, secondo Borrelli, il «naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo baluardo della questione morale». Scudi, legittimi impedimenti, prescrizioni e depenalizzazioni sono stati, per anni, la «via politica» (e legislativa) attraverso la quale il Cavaliere ha cercato – spesso con successo – di arginare i propri problemi giudiziari. Oggi, però, la situazione è molto diversa: e lo si capisce bene dallo smarrimento che pare caratterizzare l’azione del Pdl e del suo leader colpito.
La novità, come è evidente, sta nel dover fare i conti con una sentenza passata definitivamente in giudicato: e la difficoltà, giunti a questo punto, nasce dal dover prender atto di esser di fronte a una situazione che ha dell’irreversibile. Abituato a «ridurre il danno» di inchieste e processi attraverso le leggi e la politica (il complotto dei magistrati, le norme ad personam…) è di nuovo per questa via che il Cavaliere sta cercando una soluzione che gli permetta di rimanere in campo: ma la politica – e le leggi – stavolta possono aiutarlo in poco o in nulla, e il Pdl si avvita in un rosario di richieste mutevoli e confuse.
La grazia, la commutazione della pena, la richiesta che il Senato non voti la decadenza di Berlusconi, l’attacco alla legge-Severino (con possibile ricorso alla Corte Costituzionale), la richiesta di un nuovo intervento del Quirinale, l’arma finale della crisi di governo con la minaccia di puntare alle elezioni… Nessuno, in verità, ha ancora capito quale sia davvero la carta sulla quale il Cavaliere e il Pdl intendono scommettere: una incertezza, un disorientamento che rende ancor più confusa – e dunque meno governabile – la situazione.
«Resistere, resistere, resistere», incitò undici anni fa Francesco Saverio Borrelli, da sempre considerato da Berlusconi il «nemico numero uno», il capo indiscusso del «partito dei giudici», il leader carismatico delle «toghe rosse». «Io resisto! Non mollo», contrattacca oggi il Cavaliere. In mezzo, undici anni di guerra senza quartiere, undici anni che hanno prodotto cumuli di macerie politiche e giuridiche. Potrebbe anche bastare, per un Paese esausto e incattivito. Ma la parola fine, invece, pare non dover arrivare mai…
La Stampa 21.08.13