«Se le richieste berlusconiane sono quelle di cui parlano, noi teniamo duro». Guglielmo Epifani usa queste parole, dopo il pranzo a palazzo Chigi con Enrico Letta. «La sintonia con il segretario è totale», confida il premier ai suoi. La profezia di Ugo Sposetti, secondo cui il Pd si sarebbe spaccato sulla condanna di Berlusconi, al momento non si è avverata. Il partito appare unito come mai era accaduto nel suo recente passato. Nessuna concessione è tollerata: né l’avallo al ricorso alla Consulta, né un lasciapassare sulla decadenza da senatore. Zero aperture sul voto al Senato, insomma. La sentenza Mediaset per una volta ha messo d’accordo il complicato arcipelago delle correnti, appianando faide e veleni. Per tutti valgono le parole di Paola De Micheli, la fedelissima di Letta: «Non possiamo risolvere noi i problemi del Cavaliere ». Il sì nella giunta per le elezioni è quindi la linea Maginot. L’unica disponibilità che viene ventilata è quella di concedere un po’ di tempo in più per la presentazione della memoria difensiva, se mai i berlusconiani lo chiederanno. «Ma niente di più». Non è escluso che il D-day possa slittare a fine settembre.
E tuttavia l’offensiva di Silvio Berlusconi nelle ultime 48 ore si
è fatta così serrata, che tra la dirigenza si fa largo l’idea che il Cavaliere faccia sul serio nei suoi propositi di far saltare le larghe intese. «È come una mosca in un bicchiere, fa di tutto per uscire, ma la via d’uscita non c’è — spiega un ministro — e va a sbattere continuamente contro il vetro». Bella istantanea. Non sembra più un bluff, come era apparso finora. La strategia di un leader che punta ad alzare il prezzo. «Una crisi ora — mette in chiaro Epifani — provocherebbe un danno serio al Paese e specialmente per le fasce sociali, che hanno pagato i prezzi più alti in questi anni». È il segno che il Pd deve scegliere se davanti a richieste irricevibili sia Letta a staccare la spina o se sia meglio «riversare su Berlusconi tutta la responsabilità delle elezioni anticipate ». Qualcuno fa maliziosamente notare che le parole pronunciate al Meeting di Rimini dal premier sembravano quelle di uno che si prepara a tornare alle urne.
Il premier naturalmente spera ancora di poter convincere le colombe a far ragionare il Cavaliere sull’opportunità di rovesciare il tavolo. Si scruta tuttavia con preoccupazione i gabinetti di guerra che si susseguono in questi giorni ad Arcore. «La situazione — spiega ai suoi prima di raggiungere Vienna — è ancora in evoluzione». Tutto è precipitato nel giro di una settimana. Dopo la nota del Colle le elezioni sembravano rinviate al 2015. Ora, a fronte della disperazione che trapela dal bunker di Arcore, ci si prepara al peggio. «Noi — dicono al Nazareno — non accetteremo soluzioni vergognose per la nostra storia e per il nostro popolo». Un messaggio eloquente, a pochi giorni dall’avvio delle feste democratiche, dove i big si confronteranno con una base che ha sempre mal digerito l’alleanza con il Pdl. Una posizione che la iper-governista De Micheli riassume così: «Noi non siamo moralisti, siamo semplicemente realisti». E aggiunge: «Nessuno scambio è possibile. Non si transige. Siamo tutti d’accordo».
Dice una vecchia volpe come Beppe Fioroni: «Davvero non capisco cosa ci guadagni Berlusconi a far cadere il governo. Ha tutto da perdere. La verità è che nel centrodestra è in corso una seduta di psicoterapia di gruppo nella quale esorcizzano la paura del dopo-Silvio. Ma prima o poi bisogna tornare a fare i conti con la realtà». La dura realtà che a volte può assumere forme imprevedibili. L’altro giorno Felice Casson, membro della giunta al Senato, ha evocato lo spettro dei franchi tiratori: il Cavaliere salvato
nel segreto dell’urna in aula, dove – a differenza della giunta – il voto sarà segreto? «Beh, se e per questo i franchi tiratori potrebbero spuntare da entrambi i lati», ragiona un dirigente democratico, dando corpo alle ipotesi di una fronda di berlusconiani ostili al voto.
Ragiona il bersaniano Davide Zoggia: «Sapevamo quali erano i guai giudiziari del Cavaliere, quando nacque questo governo, ma non è mai stato in discussione che l’avremmo salvato noi. In uno Stato di diritto le sentenze si rispettano nella convinzione che la legge sia uguale per tutti». E quindi prova a rassicurasi così: «Aveva promesso la fine dell’Imu, lo sblocco dei crediti alle imprese: se cade tutto questo naufragherà. Gli italiani non glielo perdonerebbero».
L’altro capitolo del pranzo tra il segretario e il premier ha riguardato la gestione della prossima fase congressuale. La mozione anti-vecchi di Francesco Boccia ha avuto l’effetto di rimescolare le correnti, come dimostra il vespaio di polemiche innescato dal documento. Epifani ha garantito che tenterà di tenere separate la partita congressuale dalla vita del governo. Letta ha assicurato la sua neutralità, per schermare la già fragile esistenza dell’esecutivo dalle tensioni interne. Il Pd tiene duro.
La Repubblica 21.08.13