L’Italia, il governo, il partito. E sullo sfondo l’Europa. È da queste coordinate che deve muovere ogni analisi sul «che fare» per la sinistra. Perché queste sono le circostanze selettive che ne plasmano le scelte e il cammino. E queste le grandi questioni su cui è necessario misurarsi. Senza trincerarsi dietro comodi stati di necessità, che fungano da alibi per non scegliere o navigare a vista. E allora l’Italia e il governo del Paese. Nasce quest’ultimo da un’impasse, alla quale è tempo di dedicare un’analisi circostanziata. Dai limiti di programma – nazionale e continentale – alle debolezze di comunicazione, all’idea di aver avuto la vittoria in tasca. Ma nella stretta in cui siamo e confortati dalle amministrative, questo governo, oltre che l’unico consentito, resta un’occasione importante per conseguire alcuni obiettivi di fondo.
Innanzitutto portare il Paese fuori dalle secche della crisi economica e metterlo al riparo dai ricatti dei mercati finanziari. Dunque, risanamento e redistribuzione. Semplificazione burocratica e taglio degli sprechi, moltiplicati dalla proliferazione dei centri di spesa. Una grande operazione di riallocazione delle risorse. Che colpisca rendite e impieghi clientelari al fine di rilanciare competitività e domanda interna, nella salvaguardia piena dei diritti e di una rinnovata centralità del lavoro. Il che è essenziale anche per far giocare all’Italia un ruolo forte in Europa, volto a premere per un cambio radicale delle politiche economiche monetariste e liberiste. Che hanno contribuito non poco a compromettere l’idea stessa della costruzione europea, oltre che a generare una recessione tutta a carico di ceti subalterni e imprese.
Ma per far ciò è necessario che il governo vada avanti, senza complessi o intralci dall’interno della sua forza di riferimento: il Pd. E senza cedere a ricatti. A quelli del populismo grillino, che punta allo sfascio (magari lasciando intravedere «disponibilità»). O a quelli della destra, oggi più che mai divisa e incerta dopo la nota del Capo dello Stato a margine della sentenza in Cassazione. Nota rigorosa e inequivoca, e che non lascia spazi possibili a Berlusconi per sconti su pena accessoria, decadenza e incandidabilità. Ecco perché la destra che «reindossa» Forza Italia è nel dilemma. Tra l’affondo sovversivo e antiStato, cavalcando piazza e Aventino (fino alla crisi di governo). E sostegno condizionato a Letta,
sostegno non privo di attacchi e logorio, ma in direzione di una diversa leadership. Magari scontando un periodo «speciale» di direzione berlusconiana, da bordo campo per intendersi. Certo, gran parte delle sorti del governo dipendono dall’evoluzione di questo dilemma. E quindi dalla possibilità o meno che questa destra accetti la fine di un’era, e un cambio di pelle e natura.
Tuttavia se è vero che occorre assecondare questa evoluzione – una destra normale – essa non è nelle mani e nella disponibilità della sinistra. E allora? E allora nervi saldi, parole chiare e assunzione delle proprie responsabilità. Lasciando agli altri le proprie, senza equivoci. Il che, sul piano operativo, significa: che il dramma e il travaglio si consumino sull’altra sponda, e senza interferenze. E però non ci si lasci fuorviare o provocare. Perché questo governo, che vede il Pd in posizione centrale, ha davanti a sé compiti ben precisi, da cui non è possibile deflettere, crisi o non crisi dell’esecutivo. Il punto sta qui. Il governo, con dentro il suo programma e le finalità indicate dal presidente del Consiglio, possono essere, e sono già, anche un programma politico più ampio, proprio per il Pd. Sicché non solo occorre non piagnucolare, nascondendosi e derubricando l’esecutivo a brevissima iattura non voluta. Al contrario. Va rovesciato il discorso: in questo governo – voglia o meno la destra – c’è un’idea da far valere per l’Italia. Anche in caso di scontro elettorale prima del semestre italiano in Europa (tappa chiave per cambiarla, questa Europa). E l’idea è quella di un’Italia sociale e produttiva. Liberata da sprechi e privilegi che alimentano l’antipolitica. Gonfiano i demagoghi ricchi o plebei e distruggono i partiti.
Ecco perciò squadernata l’altra questione chiave su cui né il governo, né il Pd debbono fallire. Ed è il tema dell’Italia neo-costituzionale dei partiti. Che significa? Le modifiche alla nostra Costituzione, nel solco della Costituzione. Un nodo cruciale, l’aver eluso o mancato il quale ci ha portato dove siamo, incluso il compromesso con la destra. E banco di prova «definitivo» di questo governo. Che non per caso fin dall’inizio è stato incardinato su tale obiettivo. Vuol dire portare a casa la fine del bicameralismo, il cancellierato e la semplificazione del sistema politico. Rilanciando il ruolo dei partiti di massa come vero elemento stabilizzatore del bipolarismo: su basi di interessi e valori, non di modellini politologici. Qui la sinistra si gioca tutto, nel confronto con la destra e con se stessa. Qualità del governo, partiti e istituzioni. Se ci pensate è il cuore del congresso del Pd.
L’Unità 17.08.13