“La filosofia dell’ombrellone”, di Massimo Adinolfi
A Ferragosto è facile strappare un consenso generale intorno a questa proposizione: sotto il sole agostano, l’ombrellone è un bisogno naturale. Come resistere senza un po’ d’ombra? In realtà, nulla è meno ovvio. Ci si potrebbe accontentare di un cappellino. Soprattutto si potrebbe contestare che sia na- turale l’esposizione prolungata al sole. Il bisogno dell’ombrellone è insorto d’altronde in una condizione storicamente determinata, quella novecentesca del turismo di massa. «L’ombrellone» di Dino Risi costituisce il documento inoppugnabile di una precisa epoca storica, purtroppo lontana. Esattamente 50 anni dopo il film, nel 2005, il leader dell’Ulivo Romano Prodi ebbe a dire che si augurava un Paese con meno yacht e più ombrelloni, non sospettando che di lì a poco sarebbe venuta meno la scelta: non meno di una cosa e più dell’altra, ma purtroppo meno di entrambe. Volendo però filosofeggiare non sotto l’ombrellone ma proprio a tal proposito, va detto che sin da quando Platone provò a tracciare i confini di una città «sana», non ancora gonfiata da pretese arbitrarie, è stato difficile indicare la soglia …