Gli alibi a questo punto sono caduti per tutti. Per il centrodestra, per il centrosinistra e soprattutto per il governo. La mossa di Napolitano ha strappato il velo delle contrapposte ipocrisie. Adesso nessuno può avere giustificazioni. Ognuno deve dimostrare di essere in grado di svolgere il compito che gli è stato affidato dal Quirinale e, in primo luogo, dagli elettori.
La mossa del presidente della Repubblica, infatti, produce potenzialmente effetti già dalla prossima settimana.
Di fatto, ha consegnato a Palazzo Chigi una sorta di lasciapassare per un altro anno. Una green card per arrivare a luglio 2014, quando prenderà il via il semestre di presidenza dell’Unione europea. Si tratta di una boccata d’ossigeno rilevante per un esecutivo che fino ad ora è stato strattonato dalla tempesta giudiziaria che ha investito il capo del Pdl, Silvio Berlusconi, e anche dagli imbarazzi del Pd a far parte di una coalizione di larghe intese. Una difficoltà che ha impedito al Partito democratico di imporre almeno segmenti della sua linea al governo. Lasciando che fosse il centrodestra a caratterizzare l’azione dell’esecutivo con i provvedimenti più “popolari”.
Adesso però anche per la squadra di Enrico Letta cambia tutto. Si è rafforzata, vede allontanarsi lo spettro di una crisi e delle elezioni anticipate. Ma deve fare i conti con le nuove sfide. Il “granaio” delle misure varate da Palazzo Chigi fino ad ora è stato riempito con alcuni chicchi. Si tratta di diversi provvedimenti, approvati nell’emergenza della crisi economica e senza il sostegno delle casse pubbliche, sempre più vuote. Dunque tutto, o quasi, a saldo zero. Nulla capace di imprimere una svolta sul piano della crescita. Adesso, però, proprio grazie al rinnovato endorsment del Colle, il governo non può non cogliere i segnali che sono arrivati in queste settimane. Prima l’Unione europea ci ha fatto uscire dalla procedura d’infrazione per il nostro deficit, e ieri sono arrivati i primi segnali di una ripresa. Intercettata dai paesi più virtuosi ma non dall’Italia che fa registrare ancora un segno meno al nostro Pil nell’ultimo trimestre. Mentre, nel complesso, l’Unione europea ha invertito – seppur di poco – la rotta. Il prossimo autunno, con il pericolo che le difficoltà si abbattano ulteriormente sul tasso di disoccupazione, sarà quindi decisivo. Riuscire a dare una spinta da questo punto di vista diventerà determinante. «I risultati della nostra azione – ripete da giorni il presidente del Consiglio – si potranno osservare nel 2014, il prossimo anno». Ma la legge di stabilità che sarà esaminata da ottobre sarà probabilmente il test più probante per questa strana alleanza sempre in bilico tra gli strappi del Cavaliere e le titubanze del Pd.
Si tratta però di un test che prevede alcune responsabilità in solido. A cominciare da quelle del Pdl, il primo destinatario del messaggio di Napolitano. Irritato dai contorcimenti giudiziari del partito del Cavaliere, il capo dello Stato – raccontano in molti – ha scritto la nota di martedì scorso piuttosto malvolentieri. Molti dei suoi richiami, infatti, li considerava scontati. Ad esempio, la necessità di rispettare le sentenze della magistratura o l’esigenza di seguire l’iter costituzionale qualora si volesse chiedere la grazia per Berlusconi. Ma la condanna del Cavaliere apre anche un altro fronte: la possibilità di avviare una stagione completamente nuova per il centrodestra. Il Popolo della libertà si trova di fronte forse alla sfida finale. Quella che riguarda la sopravvivenza di un partito che ha dominato la scena politica negli ultimi venti anni e che deve decidere come affrontare, appunto, il dopo-Berlusconi.
Il capo dello Stato su questo è stato esplicito. Il Pdl deve risolvere al suo interno – senza far ricadere sul governo le incertezze di questa fase – il nodo della successione. Perché, al di là della discussione sui possibili atti di clemenza, l’ex premier non sarà comunque candidabile alle prossime elezioni. Un’osservazione implicitamente indicata dal Quirinale. Ed è questo il vero punto che sta trasformando il confronto tra i berlusconiani. Anzi, lo sta accelerando. E lo trasforma in un appuntamento per i prossimi mesi. Non a caso – come spiega a questo giornale Giuliano Ferrara – le smentite di Marina Berlusconi circa un suo impegno in politica sono formali ma non sostanziali. E il Cavaliere sta lentamente accettando l’idea che le elezioni anticipate siano per lui un’arma spuntata. Si ritroverebbe a dover affrontare le urne senza un leader immediatamente spendibile. Ha bisogno di tempo per preparare la successione e, soprattutto, si sta convincendo che solo conservando il ruolo di “socio fondatore” di questo governo, può pensare di preservare il suo futuro. Anche chiedendo al Quirinale la concessione della grazia o la commutazione della pena. Ma sempre nella prospettiva di non poter essere lui il prossimo candidato premier della nuova Forza Italia.
Le sue scelte allora si misureranno già nelle prossime due settimane quando dovrà essere concordata una soluzione per l’Imu. Entro il 31 agosto la scelta sarà compiuta e Berlusconi deve decidere se accettare un compromesso o insistere sull’abolizione tout court dell’imposta anche a costo di fare cadere il governo. Opzione ormai gradita solo ai falchi. La strada dello scontro si sta infatti via via restringendo.
Anche perché, fino a quando il Parlamento non sarà intervenuto sulla legge elettorale, Napolitano non permetterà di giocare la carta del voto. L’esecutivo guidato da Letta è nato sotto l’ombrello protettivo del Colle. Per la seconda volta in due anni un “governo del presidente” ha ottenuto la fiducia del Parlamento. Ma una delle condizioni imposte riguarda proprio la modifica del Porcellum. Il prossimo 3 dicembre la Corte costituzionale si esprimerà sul peggior meccanismo elettorale che l’Italia abbia mai avuto. Questa maggioranza dovrà dunque rapidamente ricordarsi i suoi obiettivi fondanti: le risposte alla crisi economica e le riforme. Il governo ha ottenuto da Napolitano un’altra linea di credito. Ma ha chiesto un’ipoteca: Dare un sistema elettorale decente al Paese. Un’urgenza, però, che non tocca solo la coalizione di governo ma anche alle forze di opposizione. Anche il Movimento 5 Stelle dovrà decidere se continuare a dimostrarsi una forza sterile o se scendere nel campo del confronto democratico.
La Repubblica 15.08.13