Cosa si muove dietro l’attacco reiterato di certi ambienti politico-culturali contro il Presidente della Repubblica? Tra gli affondi spericolati dei falchi della destra, le giravolte aggressive di Grillo e le sciabolate provenienti da un giustizialismo antipolitico caldeggiato da influenti giornali-partito, esiste una grande convergenza nel puntare il fuoco contro il Quirinale. C’è di sicuro del metodo in così tanta follia.
E in effetti, entro una crisi di sistema che potrebbe subire in qualsiasi momento una improvvisa torsione catastrofica, il Colle è rimasto l’essenziale elemento di tenuta dell’ordinamento repubblicano. Franati sono i partiti, che per la loro evanescenza ed elevata frammentazione interna non possono più operare come reali fattori di stabilizzazione. Il Parlamento versa in un continuo stato di affanno per la presenza di un tripolarismo polarizzato che impone rimedi di emergenza e sollecita continui sforzi del Colle per costringere gli attori in campo ad adottare un minimo di razionalità strategica.
Il valore politico della stabilità è al centro della politica istituzionale dell’ultimo Napolitano. La tenuta del quadro parlamentare è da lui percepita come un elemento imprescindibile per scongiurare la saldatura tra la crisi economica, la caduta della credibilità internazionale del Paese, la crisi-crollo del sistema politico. Si possono valutare in vario modo le singole mosse del Colle e discuterle persino in modo critico, ma non è certo agevole rigettare il significato storico che la continuità delle istituzioni in quanto tale possiede in una fase convulsa di crisi di sistema, di oscuramento delle culture di massa.
Non è semplice affermare il canone della stabilità in una democrazia che, nel recente appuntamento elettorale di febbraio, ha dato il 55 per cento dei consensi all’eterogeneo blocco antipolitico costituito dalla destra berlusconiana e dal movimento di Grillo. Un ulteriore fattore di complicazione è stata poi l’implosione repentina del Pd registrata nel corso delle elezioni per il Presidente della Repubblica. La governabilità, in tali condizioni di estrema vulnerabilità sistemica e di alienazione politica della società civile, pare un autentico miracolo politico.
In un quadro di così evidente provvisorietà e incertezza, la stabilità politica diventa un miraggio perché la strana maggioranza che la incarna è logorata di continuo da un partito personale che strapazza il valore della separazione dei poteri, sfida il principio della legalità. L’inaffidabilità e anche la slealtà della destra complicano il cammino di un anomalo governo di coalizione riproponendo il volto terribile della politica, costretta ad affermare il suo connotato costruttivo pur in presenza di attori irresponsabili che esibiscono spudoratamente il volto di un neopatrimonialismo regressivo.
La categoria del presidenzialismo di fatto, raccolta per descrivere la sovraesposizione del Quirinale nel tentativo di conservare tra le macerie un biennio di stabilità politica per poi ripristinare il gioco dell’alternanza, è una sciocca metafora. Certi sedicenti difensori della Costituzione, che la diffondono con troppa leggerezza, trascurano che se davvero la Carta del 1948 è solo una forma vuota, e se la geografia dei poteri è stata stravolta proprio dal suo custode, non ha senso alcuno l’appello a difenderla. Non si difendono i cadaveri. Ma la Carta non è uno spettro anche perché l’azione di supplenza di Napolitano resta l’emblema di un regime parlamentare che, nell’emergenza acclarata, sa trovare le risorse estreme per sopravvivere e sfidare le contingenze più avverse. Il parlamentarismo non equivale a un regime imbelle, incapace di governare le eccezioni. Già Massimo Luciani, su queste colonne, ha rimarcato il tratto iper-parlamentare dell’esperienza del secondo mandato di Napolitano. Alludendo a una sorta di mandato a tempo, il Presidente non persegue certo un disegno personale di stravolgimento degli equilibri costituzionali più delicati. Opera invece tra gli scogli con un interventismo di marca parlamentare, necessario per il ripristino integrale delle condizioni istituzionali di una democrazia dell’alternanza.
La cultura dell’uomo solo al comando, che gode di molteplici e trasversali bocche di fuoco, vede nel Quirinale l’ultima roccaforte di un regime parlamentare in agonia, che si intende seppellire in fretta per marciare verso un altro sistema a traino carismatico. Dietro l’aspra battaglia contro Napolitano opera dunque un concentrato di forze eterogenee che (in maniera consapevole o meno, poco importa) sperano in una irreversibile crisi di regime. E proprio la caduta dell’ordinamento dinanzi al precipitare della crisi è salutata come l’occasione propizia per la comparsa mitica dell’uomo del destino che con la carrozza del commissario pronuncia la parola fine alla decrepita democrazia costituzionale.
L’Unità 15.08.13