La riforma elettorale si deve fare subito. Giusto. Perché incombe la sentenza della Corte costituzionale che potrebbe dichiarare illegittima quella vigente. Sbagliato. Ragionando in questo modo si rischia di finire fuori strada. Perché si finisce per portare altra acqua al mulino, già vigorosamente alimentato, di quelli che pensano che la politica sia ormai incapace di risolvere qualunque problema e che solo la giurisdizione, ormai, riesca a sciogliere nodi altrimenti inestricabili. Se ci si decide a mettere mano alla pessima legge attuale non può e non deve essere solo perché c’è il rischio che la Corte la colpisca, ma perché si dà di quella legge il giudizio politico che merita: è triste constatare, invece, che una volta di più le istituzioni rappresentative vanno a rimorchio di poteri terzi.
Se questo è vero (e non si capisce come si potrebbe negarlo), chi ha a cuore le sorti della politica non si può accontentare di proporre un maquillage della legge Calderoli, di un’opera di cosmesi che si limiti a cancellarne gli aspetti di più vistosa incostituzionalità, senza toccare – però – tutte le sue incongruenze. Certo, fra legge elettorale e forma di governo ci deve essere coerenza, ma non per questo, in attesa dell’auspicata riforma costituzionale, potremmo ritenerci soddisfatti di raggiungere l’obiettivo minimo. Se nuova legge elettorale ha da essere, dunque, che sia organica e coerente.
Non basta superare le resistenze
minimaliste, però, per ottenere il risultato, perché le alternative che giacciono sul tappeto sono ancora troppe. Quale preferire? Molti proclamano formule proporzionali o maggioritarie, e sistemi con o senza premio di maggioranza, come se fossero articoli di fede e non si sforzano di ragionare su quello che, davvero, serve al nostro Paese.
Ora, se cerchiamo di vedere con onestà intellettuale i problemi che la riforma elettorale potrebbe contribuire a risolvere, ci accorgiamo che sono soprattutto due: la mancanza di stabilità e il deficit di rappresentatività. La mancanza di stabilità, perché i nostri governi continuano ad avere vita breve, o comunque difficile, anche quando sono sorretti da maggioranze larghissime. Il deficit di rappresentatività, perché la sottrazione agli elettori del potere di scegliere le persone degli eletti è vissuta come un’intollerabile espropriazione.
Per risolvere il secondo problema non ci vuole molto: basta reintrodurre il voto di preferenza o strutturare un sistema (anche proporzionale, come quello tedesco) articolato su collegi uninominali.
Più difficile è la questione della stabilità, anche perché una parte del problema sta nelle norme costituzionali (in particolare, nella previsione che entrambe le Camere debbano conferire la fiducia al governo) e un’altra nella realtà del
sistema partitico (nel quale è presente una forza che, almeno sino adesso, si è sottratta alla logica stessa del parlamentarismo, negando qualunque disponibilità coalizionale). Nonostante questo, il sistema elettorale potrebbe fare molto.
Si tratta soprattutto di capire quanto sia opportuno “forzare” la pura proporzionalità dei risultati per ottenere maggioranze stabili. Stabili, è bene ripeterlo, non necessariamente ampie: abbiamo fatto esperienza sufficiente di coalizioni mastodontiche eppure insincere, pronte a mettersi assieme per vincere, ma incapaci di restare unite per governare. È evidente che quanto più si forza, tanto più facile è l’ottenimento di una maggioranza. Il rischio, però, è che quella maggioranza, proprio perché “costretta”, sia meno solida di quanto dicano i numeri. Se si forza di meno, invece, accade l’inverso, perché si incentiva, nel medio periodo, la formazione di maggioranze stabili e sincere, ma si rischia, nell’immediato, di non ottenere il risultato. Il nodo, dunque, è tutto lì, ed è politico, non tecnico. Se si pensa che i pericoli del presente siano così critici da suggerire di non investire su una prospettiva di medio periodo, si deve forzare maggiormente, se la si pensa all’opposto si possono scegliere soluzioni meno drastiche. Questo, ripeto, il nodo. Ed è su questo che ci sarebbe bisogno di un confronto vero.
L’Unità 13.08.13