Ne vedremo delle belle ma anch’io sono convinto che con la condanna di Silvio Berlusconi si chiude una lunga pagina della vicenda italiana. Si aprono nuovi scenari. Penso al bisogno crescente di una forza politica capace di porsi come garante della tenuta e ricostruzione del sistema democratico e parlamentare.
Cresce quindi lo spazio per un partito come dovrebbe essere il Pd. Il passaggio è molto stretto, e per affrontarlo non basta la fermezza sui principi. Occorre anche una visione più complessiva degli interessi nazionali e delle conseguenze che comporterebbe il collasso del sistema politico. Ammetto che la mia cultura politica è vecchia. Non posso però fare a meno di ricorda- re agli amici diventati ultra-protestatari e ultra-sinistri che la lotta intorno alle istituzioni non è un fatto che riguarda il Palazzo, ma è «il concentrato della lotta di classe»: mi pare lo dicesse Lenin.
Guardiamo le cose italiane così come stanno. Dopotutto non è per caso che il Cavaliere ha dominato la politica per tanti anni. Complicità? «Inciuci»? Quante sciocchezze e stupide accuse. Non è la polemica, anche la più aspra, contro quest’uomo ciò che è mancato. Non si è parlato d’altro e c’è un mondo intero di giornalisti e intellettuali che è campato su questo. Allora che cosa ha fatto la forza di quest’uomo? È su questo punto che ormai bisognerebbe riflettere meglio, se vogliamo aprire davvero un pagina nuova.
La risposta si trova, secondo me, in una analisi più ampia e più severa della crisi che tormenta l’Italia da almeno venti anni, cioè anche da prima di Berlusconi. Detto in breve, al fondo c’è la straordinaria pochezza delle classi dirigenti italiane, l’incapacità di affrontare le riforme che diventavano ineludibili a fronte della prova, l’inedita prova di un vero e proprio State building, cioè inserire questo antico Paese nel nuovo ordine europeo e mondiale. Ci siamo difesi arretrando, cedendo alle logiche del mercato e spesso dell’economia sommersa, delle rendite e dell’egoismo sociale. La sinistra ha resistito ma non molto efficacemente, spesso non ha capito. In parte si è trasformata nel «popolo viola» o nella gestione dell’esistente. Intanto Berlusconi costruiva sul degrado del tessuto sociale la sua straordinaria narrazione della realtà. In base alla quale era lui che liberava gli italiani dai lacci e laccioli di uno Stato inefficiente e oppressore perché su questa base si era costruito il «potere dei comunisti».
Il bilancio è stato catastrofico. Parla da solo. Una crisi economica di natura mondiale subìta nel modo più irresponsabile, gettando il peso maggiore sui salari e sulle forze produttive. Ma il prezzo più pesante è il degrado ulteriore dello Stato. Il problema fondamentale è questo. Proviamo a guardare con freddo distacco al sistema politico e a quell’insieme di regole, leggi poteri, parti sociali e scambi politici che rappresentano la trama di una compagine nazionale in cui convivono persone, culture, sto- rie così diverse come i veneti e i siciliani. Lo Stato italiano, insomma.
Mi pare che sia qui la spiegazione fondamentale del problema italiano in base al quale la nostra democrazia, anche dopo il fascismo, resta una democrazia «difficile» (Aldo Moro). Una Repubblica retta dal «governo delle leggi», ma fino a un certo punto. Fino a quando non subentra il cosiddetto «governo degli uomini», ovvero la concentrazione del potere nelle mani di un capo carismatico che si pone al di sopra della legge. Siamo ancora una volta di fronte a una simile stretta drammatica? Io spero di no. Ma se guardo alla frammentazione delle forze democratiche tutto mi spinge a dire che dobbiamo parlare più apertamente al Paese con un tono più alto ed egemonico, e quindi con un animo non partigiano. Il problema che poniamo non è quello di una vendetta su una persona ma di dove va lo Stato, «la casa di tutti», ove si cedesse al ricatto del Cavaliere. In quale angolo dell’Europa e del mondo l’Italia finirebbe? È su questo terreno che si gioca la carta delle nuove generazioni. Chi scommetterà su un Paese nel quale non si sa chi comanda ed è incerta la divisione dei poteri? Un Paese senza regole che verrebbe commissariato come la Grecia e dove diventerebbe Maramotti
sempre più difficile lavorare, pensare, intraprendere.
È con questo animo che il Pd deve parlare agli italiani, a tutti gli italiani. A cominciare dalla destra. Dove va la destra? La questione riguarda tutti. Perché una destra in un Paese come l’Italia esiste e continuerà ad esistere. Ciò che è decisivo per le prospettive democratiche è che la destra non si riduca a quelle scene, francamente pietose, che abbiamo visto sotto il balcone dell’ex «unto del Signore». C’è un gran bisogno di un’altra destra, una forza seria, moderata, che possa isolare quello fondo sovversivo razzista e fascista che esiste da sempre. Una destra con la quale sia possibile un confronto aperto e responsabile sul terreno democratico e che possa riprendere la parola in Europa senza essere dileggiata. Molto dipende da noi: ma da noi chi?
Assisto con sofferenza al modo come una sinistra confusa, divisa, non riesca a fa- re serie analisi. Nessuno fa più analisi: si lanciano solo accuse moralistiche, spesso menzognere e vergognose. Mi viene alla mente un interrogativo terribile che si pose Antonio Gramsci, ormai rinchiuso nel carcere, sul perché il fascismo avesse vinto. Noi – egli si chiese parlando del suo partito – fummo un elemento positivo nella lotta contro il fascismo oppure fummo di fatto un fattore che contribuì alla dissoluzione della democrazia?
L’Unità 12.08.13
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