Piaccia o non piaccia al Giornale, a Libero e a quanti nel Pdl tifano per un suo ingresso in politica, per Marina Berlusconi si pone lo stesso problema di conflitto di interessi che si è posto sin dal 1994 per il padre Silvio. E bene ha fatto l’Unità a ricordarlo.
Il tema del conflitto è stato sin dall’inizio affrontato sia in termini di «ineleggibilità» che in termini di «incompatibilità». Nel primo caso si è fatto riferimento alla legge del 1957.
In quella legge si dichiara ineleggibile il titolare di una concessione pubblica, quale è indubbiamente l’assegnazione di frequenze televisive. Laddove concessionario sia una persona giuridica, l’ineleggibilità colpisce il legale rappresentante della società: nel caso di Mediaset il suo presidente, ma non – secondo l’interpretazione datane in ben sei elezioni dalle giunte di Camera e Senato – Silvio Berlusconi, considerato con eccessiva indulgenza un «mero proprietario», estraneo alla gestione della società. Diverso è il caso di Marina Berlusconi: come presidente e legale rappresentante di Fininvest, società controllante Mediaset, ad essa si applicherebbe a mio avviso la Legge del 1957. È tuttavia ovvio che, qualora decidesse di entrare in politica, Marina abbandonerebbe le cariche sociali, riducendosi – si fa per dire – come
il padre allo stato di «mero proprietario». Tocchiamo qui il cuore del problema: se il mero proprietario,
ha grazie al suo pacchetto azionario il controllo della società e quindi il potere di nominarne gli organi deliberanti e il legale rappresentante, egli è in realtà il vero dominus della società cui applicare la legge.
In ogni caso, il vero tema sollevato dal conflitto di interessi non è tanto quello della «ineleggibilità» di un singolo parlamentare, quanto quello della «incompatibilità» tra cariche elettive o di governo e il controllo di imprese – come quelle dell’informazione e in particolare dei media televisivi – in grado di manipolare e alterare il libero formarsi del consenso politico, determinando così una grave distorsione della democrazia rappresentativa. È su questo tema che insiste la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale che sempre più tende a limitare la ineleggibilità a pochi casi specifici ampliando invece i confini della incompatibilità.
Prevenire e regolare il formarsi di conflitti di interessi, anche ponendo limiti alla libera iniziativa dei singoli, è dunque una corretta prassi seguita da tutte le grandi democrazie. Del tutto pretestuose sono perciò le critiche mosse in passato dal centrodestra e riprese oggi dai giornali di Berlusconi: la necessità di una adeguata legge sul conflitto di interessi nasce non dal desiderio di limitare l’agibilità politica di Silvio o Marina Berlusconi, ma dall’obbligo di favorire la libera formazione dell’opinione
pubblica garantendo così la sostanza stessa della democrazia rappresentativa.
Due, in particolare, sono le affermazioni fuorvianti della propaganda berlusconiana. Errata è innanzitutto l’affermazione che il centrosinistra non abbia tentato di approvare un’efficace legge sul conflitto: è indubbio infatti che nel 1996 solo la fine anticipata della legislatura bloccò alla Camera l’approvazione della mia proposta di legge già approvata dal Senato. Né va dimenticato che tra il 1998 e il 2001 fu l’ostruzionismo del centrodestra, che infondatamente accusava di incostituzionalità la legge, ad impedirne l’approvazione. Ancor più errata e fuorviante è infine l’affermazione che una buona legge sul conflitto ci sia già: la legge Frattini, infatti, non previene i conflitti potenziali che originano dal possesso di risorse o di uno status atti a determinarli, ma mira ad intervenire a posteriori solo sui casi già esplosi.
Due sono i limiti insormontabili di un simile approccio: la legge esamina solo i conflitti che nascono da decisioni assunte e non anche i casi in cui il conflitto risiede nella mancata assunzione di una decisione (ad esempio, nel non fissare limiti ragionevoli alla raccolta pubblicitaria della televisione commerciale); e infine la Frattini esenta tutti i casi in cui il conflitto interessa, non un singolo operatore ma una più ampia categoria di soggetti, e in cui non si è prodotto un danno erariale. Si tratta – è chiaro – di condizioni che rendono impossibile prevenire e perseguire correttamente il conflitto di interessi. Anziché colpire il conflitto di interessi di Berlusconi la legge Frattini è nata per scudarlo.
In conclusione, quali che siano il futuro di Silvio e le decisioni di Marina, una nuova legge sul conflitto è necessaria e urgente, non tanto per prevenire i conflitti di natura economica che possono essere ben regolati da un’efficace legge anti-corruzione, quanto per impedire che posizioni dominanti nell’informazione possano incidere sulla formazione della cultura politica e, alterando i meccanismi di formazione del consenso, mettere in pericolo la nostra democrazia.
da L’Unità