Un grafico a forma di burrone. Dai 91mila euro di Mauro Sentinelli, l’ex manager Telecom che grazie alla Corte Costituzionale ha la certezza di continuare a riceverli ogni mese, ai 236 euro al mese di Elisabetta, che se va bene li vedrà fra 29 anni e ha la certezza che si riducano perché è stata licenziata e non versa più contributi. Per finire con i zero euro che prende Beppe, nonostante 38 anni di lavoro e la certezza ormai sfumata di vederne 1.100 al mese dal 2012. I dati si riferiscono ad un pensionato d’oro, al calcolo dell’assegno pensionistico di una 40enne precaria e a quello di un esodato. Numeri che certificano come il sistema pensionistico italiano, nonostante (e anzi, in parte proprio per) la riforma Fornero, sia uno dei più ingiusti al mondo.
Si dirà: «Però questi sono casi limite». Vero. Ma è vero anche che la stragrande maggioranza delle 14 milioni 635mila pensioni hanno un importo medio mensile di 881 euro (e dunque in fondo al grafico-burrone) per di più in costante calo. Con 6 milioni di pensionati che hanno la prospettiva di vedersi erodere ulteriormente il potere d’acquisto del loro già misero assegno mensile a causa della probabilissima proroga allo stop all’indicizzazione delle pensioni sopra i 1.382,91 euro anche per il 2014.
Un sistema quindi ingiusto con tutti tranne che i privilegiati. La settimana scorsa ha destato scalpore la pensione del già citato Mauro Sentinelli. Ma il vero scandalo è che, al contrario delle milioni di pensioni basse già erogate e di quelle degli italiani ancora al lavoro, i loro assegni aumenteranno. Succede perché molti di questi continuano a lavorare e, soprattutto, perché non si è ancora trovato un modo per chiedere loro un sacrosanto contributo di solidarietà. Tutti figli degli ultimi anni di vacche grasse e del sistema retributivo, i loro assegni si calcolano in percentuale rispetto all’ultimo stipendio percepito. Il piccolo contributo di solidarietà è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale e, con fin troppa solerzia, saranno rimborsati dall’Inps proprio questo mese. Il principio ribadito dalla Consulta è quello del diritto acquisito e della disparità di trattamento rispetto ai lavoratori che non vengono toccati.
Ora il Parlamento, con il Pd in testa, ha chiesto al governo di intervenire e trovare un modo per ridurre queste scandalose pensioni. L’ipotesi al vaglio è quella di ricalcolare con il sistema contributivo gli assegni, in modo da ridurli in modo anche più sostanzioso. E per sempre.
Passiamo al dramma degli esodati. Tra tanti impegni mantenuti, il ministro Enrico Giovannini è andato in vacanza mancando quello di fare il punto reale sui numeri della vergogna prodotta dal suo predecessore. Ad oltre due anni e mezzo dall’entrata in vigore della riforma Fornero non sappiamo quanti italiani sono rimasti senza stipendio, senza pensione e senza ammortizzatori a causa dell’innalzamento di almeno 5 anni dell’età pensiona- bile. La stima dei 392mila, fornita dall’Inps ad Elsa Fornero nel 2012, è sempre stata contestata dalla ministra. Giovannini ha ricucito il rapporto con l’Inps, ha chiesto e ottenuto i dati sui primi salva- guardati, ma non ha ancora reso pubblico il dato dei dati: il totale degli esodati e dunque dei mancati salvaguardati.
Anche su questo termine, inventato da Elsa Fornero per indorare la pillola della vergogna esodati, ci sarebbe da discutere. I tre provvedimenti che permettevano di mandare in pensione rispettivamente 65mila, 55mila e 10.130 esodati sono ancora in gran parte sulla carta. Solo 7.254 dei 130.130 salvaguardati ricevono la pensione, mentre è già certo che dei primi 65mila solo 62mila hanno diritto a ricever- la a causa dei paletti troppo stretti messi dalla Fornero per ridurre le platee, prima fra tutte la norma che escludeva tutti coloro che dopo l’esodo dalle aziende hanno prestato qualunque attività lavorativa.
Ora tutti, con in testa Cesare Damiano e Luisa Gnecchi del Pd, chiedono a gran voce al governo una soluzione definitiva del problema. Attingendo ai 80 miliardi di risparmi che la riforma Fornero produrrà entro il 2021 e utilizzando un Fondo già previsto nell’ultima finanziaria. Ma per ora il governo non ha affrontato il tema. E, come un cane che si morde la coda, non potrà farlo finché non si saprà quanti sono gli esodati, così da calcolare quanti soldi serviranno.
L’ultimo capitolo del libro delle ingiustizie pensionistiche è forse il più amaro. Riguarda i milioni di giovani precari che oggi non trovano neanche un co.co.co sfruttato, senza diritti e mal pagato. I prodigi della tecnologia ora consentono ad ogni italiano di poter calcolare il proprio assegno. Anche chi, come Elisabetta lavora da vent’anni (e se fossimo negli anni ‘80 poteva già essere in pensione) con 11 contratti diversi, non ancora stabilizzata, che ad oggi andrebbe in pensione nel 2042 a 236 euro al mese. Naturalmente lordi. Ecco per loro, per i 3 milioni di para- subordinati, la riforma Fornero qualcosa ha fatto. Alzare progressivamente i contributi dal 27,72 al 33,72% nel 2018. Peccato che nella maggior parte dei casi gli au- menti ricadano sugli stessi stipendi dei lavoratori in quanto «costi» per i loro datori, specie negli studi professionali. L’intervento necessario per loro è quello di un aumento dei coefficienti che tramutano i loro contributi nell’assegno finale. Ma, nonostante parecchi progetti di legge, la questione non è una priorità per nessuno.
L’Unità 11.08.13
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