Non c’è alcuna strada, alcuna via di uscita per Berlusconi se non il rispetto e l’applicazione della sentenza. Anche se il prezzo da pagare fosse la fine delle larghe intese. Guglielmo Epifani non è disposto a trattare. Per il segretario del Pd le regole della democrazia vengono prima del destino dei singoli: «La legge è uguale per tutti».
Il Pdl chiede agibilità politica per il leader.
«Non vedo altra possibilità che prendere atto della sentenza e degli effetti che produce, non ci sono strade ed è anche sbagliato cercarle. Ho preferito usare l’arma della chiarezza prendendomi qualche insulto di troppo, ma con tutto il rispetto che si deve alla storia e ai problemi e spesso anche ai drammi di una parte politica, le sentenze vanno rispettate ed eseguite.
Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, per quanto possa essere dura.
In qualsiasi ordinamento democratico il principio di legalità non può mai essere discusso».
Il Pdl non mollerà il leader al suo destino.
«Gira un video di Berlusconi giovane che dice che, quando uno fosse condannato per evasione fiscale, deve fare un passo indietro».
Berlusconi deve fare un passo indietro?
«Quello che è giusto fare e che avviene normalmente. Come ha detto lui stesso in quel video. Negli Usa cosa sarebbe successo? Nei Paesi democratici c’è una severità enorme nei reati fiscali e societari».
E la stabilità del governo?
«Il principio di legalità in uno stato democratico viene prima di qualsiasi valutazione politica».
Anche prima dell’esecutivo?
«E il fondamento. Se annulliamo legittimità e legalità non c’è più nessun caposaldo, per questo bisogna avere una linea rispettosa ma anche molto ferma. Io non vedo altre strade».
Il Pdl ha intravisto un’apertura nelle parole di Napolitano.
«A me invece è parso assai chiaro, ha detto “non forzate le mie parole”. Non lo si tiri per il bavero, lo si lasci fuori. Lo dico anche a Grillo, le cui parole ritengo inaccettabili e intollerabili».
Non c’è dunque alcun sentiero, se non per la grazia o l’amnistia, per una riforma della giustizia che porti a qualche forma di salvacondotto?
«Adesso stiamo parlando del tema in sé, le conseguenze di carattere sanzionatorio della sentenza. E su questo terreno non c’è via di uscita. E chiaro che siamo di fronte a un fatto enorme, però guardiamo anche cosa succede negli altri Paesi. E poi la stragrande maggioranza della opinione pubblica e degli elettori del Pd chiedono che Letta vada avanti, ritengono che vengano prima gli interessi del Paese che quelli di una parte o di un singolo».
Quagliariello ha rivelato un piano per far cadere il governo.
«Non so, Quagliariello ha notizie che io non ho. Da un lato è prevalsa l’idea di far continuare l’attività del governo, dall’altra invece, giorno dopo giorno e ora dopo ora, lo si tiene in fibrillazione continua.
E così un esecutivo che deve pensare agli interessi generali in una fase di crisi profonda, finisce per risentire di questa zavorra che è l’imposizione di temi di parte. Il logoramento del governo è un rischio che il Paese non può permettersi».
Se si andasse al voto, il Pd avrebbe tutto da guadagnare…
«La nostra convenienza è la convenienza del Paese. Come insegna la vicenda del governo Monti, a noi semmai si può rimproverare un eccesso di responsabilità. Ma un partito non personale è questo, è una forza che si assume la responsabilità. Dopodiché il nostro problema è che il governo non tiri a campare e sia messo in condizione di agire, per questo ci vuole fermezza. E una scelta che non subiamo, ma che vogliamo. Non ci facciamo tirare la giacca. Non ci facciamo condizionare da vicende, che pur avendo una grande rilevanza, non sono il cuore della scelta che il Paese ci chiede. Qualche timido segnale di decelerazione c’è, ma da qui a fine anno la crisi toccherà il fondo…».
Un governo di larghe intese non rischia di avere le mani legate?
«Il governo ha le mani legate dal peso del debito, dalle scelte dell’Europa che non si smuovono da una linea di austerità e dalla eredità del governo di centrodestra, che ha assunto il fiscal compact e l’obiettivo del 3 per cento nel rapporto deficit pil. Se si ragiona entro questo limite le cose che il governo sta facendo, con poche risorse, sono tutte buone. Piccole cose, intendiamoci. Ma dopo anni di tagli, il provvedimento su cultura e spettacolo è un’inversione di tendenza. Ora dobbiamo chiedere uno sforzo ancor più grande per dare impulso all’occupazione e agli investimenti».
Prevede guerriglia in Parlamento?
«In questi giorni c’è una specie di bonaccia, paradossalmente si lavora in un clima diverso che fuori. Per questo ritengo ci sia bisogno di un tagliando, anche se mi hanno detto che ho usato una parola da Medioevo. Hanno detto che vogliono andare avanti? Ecco, siamo alla prova del fuoco. Il Paese vuole che si affrontino i problemi: scuola, esodati, precari della pubblica amministrazione…».
E il Porcellum?
«Due cose dobbiamo fare, il conflitto di interessi e la legge elettorale. Da settembre avanti tutta».
Se il Pdl non ci sta, il Pd voterà con Scelta civica e cinquestelle?
«Noi partiamo dal nostro testo e su quello tiriamo dritti. E poi valutiamo chi effettivamente vuole la riforma elettorale».
Intanto c’è chi, come Bersani e Renzi, spinge per andare a votare.
«In un grande partito possono esserci idee diverse, ma l’idea che il governo deve proseguire è una posizione condivisa».
Si dice che Letta mediti di staccare la spina per fermare Renzi…
«Se leggiamo tutto in una logica di contrapposizione interna non cogliamo la durezza della fase. Renzi mille volte ha detto “il governo va avanti se fa le cose”. Bersani ha detto “non facciamoci logorare”, Letta ha detto “non tiro a campare”. Sono tutti d’accordo su un punto: si va avanti per fare. Niente trame, questo è il cuore delle scelte. Ma quando c’è da dire dei no, si dicono dei no. Come finisce questa vicenda dell’Imu e dell’Iva? Le risorse vanno usate sia per ridurre le tasse, sia per sostenere gli investimenti e l’occupazione.»
Non volete si dica che è il governo del Pdl?
«Non lo era prima e non lo è, a maggior ragione, oggi».
Il Pd ha paura che Renzi faccia il segretario?
«Il segretario lo decidono gli iscritti e i nostri elettori, che si registreranno all’albo delle primarie. Le regole saranno rispettose di tutti. Le primarie saranno aperte, anche se ovviamente quelle per il premier lo sono di più, perché è un altro campo di gioco».
Renzi parlerà alle feste del Pd e chi non lo ama teme che soffi sul fuoco.
«Nessun timore. Renzi è molto più accorto di come talvolta viene dipinto, io penso che non soffierà sul fuoco».
Ritiene che il sindaco sia più adatto per Palazzo Chigi?
«Su questo ho le mie opinioni, in ogni caso il Pd ha bisogno di un segretario di alto profilo che innanzitutto si occupi del partito, l’unica forza politica non personale e quindi che va preservata e riformata. Poi è evidente che ognuno è libero di decidere dove candidarsi».
Lei si candida?
«No, lo confermo. Sono abituato a mantenere la parola».
E bufera sul giudice Esposito, chi ha ragione?
«Bisogna abbassare i toni. Al di là di quello che ha detto è meglio il riserbo per chi ha una funzione di giudice, anche se dall’altra parte sono arrivati attacchi non accettabili. Il gioco al massacro deve finire, per non indebolire le istituzioni».