Alla fine il taglio del 25% degli stipendi delle Spa pubbliche passa. A termine di una maratona durata fino a mezzanotte è arrivata infine la soluzione al nodo dei compensi dei manager pubblici: tutti quelli che non rientrano già nel tetto introdotto con il Salva-Italia (circa 300mila euro, il trattamento economico del primo presidente della Cassazione) al prossimo rinnovo si vedranno sforbiciare del 25% tutti i compensi, “a qualunque titolo determinati”. Si tratta dei manager delle società a controllo pubblico diretto o indiretto, quotate e non quotate «che emettono esclusivamente strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati nei mercati regolamentati». Tra queste Eni, Enel, Finmeccanica, Ferrovie e Poste. È questo il risultato della maratona notturna promossa dalle Commissioni Affari costituzionali e bilancio del Senato, che hanno così completato l’esame del Dl del fare. Al via in Aula la discussione generale sul provvedimento che, considerate le modifiche introdotte, dopo il sì dell’Aula di Palazzo Madama dovrà tornare alla Camera per la terza lettura (è atteso in Aula a Montecitorio già domani).
Regolarità tributaria, salta il Durt
In un primo tempo le commissioni Affari Costituzionali e Bilancio del Senato avevano infatti soppresso a larga maggioranza i tagli introdotti, anche con un emendamento del Governo, nel Decreto del Fare. In serata, però, Esecutivo e maggioranza hanno lavorato al recupero della norma. Via libera anche alla soppressione della norma del provvedimento – introdotta alla Camera – che istituiva il Durt, il documento unico di regolarità tributaria. Si tornerebbe quindi al testo del Governo in materia di responsabilità solidale fiscale. Approvato anche un ordine del giorno che rinvia la questione alla delega fiscale. Prima la bocciatura, poi il Governo detta la linea.
Riepiloghiamo. Le commissioni in giornata non hanno votato l’emendamento del governo al dl Fare che prevedeva per il tetto ai compensi dei manager pubblici un «sistema differenziato» per le società non quotate controllate da società con titoli azionari quotati rispetto a quelle controllate da società emittenti altri strumenti finanziari. Per le società quotate a controllo pubblico il testo dell’esecutivo prevedeva una riduzione del 25% in sede di rinnovo degli organi di amministrazione dei compensi rispetto a quelli deliberati per il precedente mandato. La proposta stabiliva inoltre il divieto per tutte le società a controllo pubblico, a eccezione di quelle emittenti titoli azionari quotati e loro controllate, di corrispondere agli amministratori con deleghe bonus, indennità o benefici economici di fine mandato.
L’irritazione di Franceschini : non possiamo rinunciare
Immediata la replica dell’esecutivo, che tramite il ministro per i Rapporti con il parlamento Dario Franceschini fa sapere che «il Governo non può rinunciare al taglio del 25% agli stipendi dei manager delle società pubbliche quotate e non quotate che emettono titoli (come Eni, Enel, Finmeccanica o Poste, ndr)».
L’annuncio di Lanzillotta: tagli ripristinati
La posizione assunta dall’esecutivo riapre i giochi. Poche ore dopo, in serata, arriva un nuovo annuncio della vicepresidente del senato, Linda Lanzillotta: «Le Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio del Senato hanno ripristinato il regime vigente sul tetto agli stipendi dei manager pubblici. Ma la riduzione del 25 per cento, come proposto dai relatori, si applicherà invece, molto opportunamente, ai manager delle società quotate e delle società a queste equiparate che, fino ad oggi, erano rimasti immuni da ogni riduzione».
Se fosse stata approvata definitivamente dal Senato la norma sul tetto agli stipendi dei manager passata alla Camera «avrebbe comportato il superamento del limite dei 300mila euro, previsto dalla spending review, sia per le società dello Stato che per molte municipalizzate. Sarebbe stato così sterilizzato in cambio di una mera riduzione del 25 per cento dei compensi in godimento prima della spending review», spiega.
Società non quotate direttamente o indirettamente controllate dalla Pa
Con il Salva-Italia si stabiliva che il compenso dei manager delle società non quotate direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni non potesse superare il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione (300mila euro, appunto). L’intervento della Camera aveva previsto che il tetto non si applicasse alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica. Il governo, al Senato, aveva presentato a sua volta un emendamento che introduceva un sistema “differenziato” per le società non quotate e che prevedeva anche un taglio del 25% dei compensi dei manager delle società pubbliche quotate: sull’emendamento non si era trovato un accordo con le forze politiche. Con la soppressione delle modifiche introdotte alla Camera si torna quindi alle norme del Salva-Italia. La stretta viene così confermata, ma viene meno – con una certa irritazione da parte dell’Esecutivo – anche il taglio del 25% dei compensi dei dirigenti delle società pubbliche quotate.
Durt, viene meno la norma introdotta alla Camera
Per quanto riguarda il Durt, la norma introdotta alla Camera, e criticata dalle imprese, prevedeva che, per quanto riguarda le ritenute sui redditi di lavoro dipendente relative al rapporto di subappalto, la responsabilità solidale era esclusa nel caso in cui l’appaltatore verificasse la corretta esecuzione degli adempimenti attraverso l’acquisizione del nuovo Documento unico di regolarità tributaria relativa al subappaltatore. L’appaltatore, fino all’acquisizione del Durt, poteva quindi sospendere il pagamento del corrispettivo. Ora il Durt viene cancellato dalle Commissioni.
Il Sole 24 Ore 06.08.13