Marina di Massa, 28 luglio 2013. Marco Loiola, accecato dalla gelosia e da una storia che non accettava fosse finita, spara al presunto rivale lasciandolo in coma. Poi si reca al ristorante dove lavorava la moglie Cristina Biagi e la uccide. Quindi rivolge l’arma contro di sé e si suicida. Una famiglia sterminata. Restano due bambini, di 3 e di 10 anni. Soli. San Tammaro di Caserta, 20 luglio 2013: il corpo di Katia Tondi, donna di 31 anni, viene trovato in casa privo di vita. Qualcuno l’ha uccisa. Indiziato del delitto il compagno, Emilio Lavoretano. In casa, al momento del delitto, c’era anche il figlioletto di Katia, 7 mesi. Solo.
Ci sono altre vittime del femminicidio. Vittime di cui quasi nessuno parla mai, travolti dall’orrore di una violenza che confonde l’amore con il possesso. Vittime che non sono sotto i riflettori, perché minorenni. Ma proprio per questo più a rischio, infilati in percorsi fatti di affidamenti, adozioni, tribunali dei minori. Che fine fanno queste vittime?, che strumenti hanno e che strumenti fornisce loro la società per superare il trauma di un padre che uccide la propria madre?, come crescono?
Orfani, con due genitori scomparsi, o nella migliore delle ipotesi con uno dei due in carcere per ciò che ha fatto all’altro, questi bambini vengono scordati. Sono un esercito, ma nessuno se ne accorge. Oltre 1500 in Italia, secondo uno studio che sta portando avanti la dottoressa Anna Costanza Baldry, docente di Psicologia all’Università Seconda di Napoli, consulente dell’Onu, della Nato e dell’Ocse in materia di violenza contro le donne e i bambini. Lo studio prende in esame i casi di bambini vittime del femminicidio tra il 2000 e il 2013 e dimostra una cosa: in Italia non esistono protocolli, percorsi, strumenti che offrano a questi orfani una vita migliore.
I casi vengono trattati dai tribunali dei minorenni alla stregua degli altri orfani. Ma le loro storie sono completamente diverse. Alcuni non hanno perso entrambi i genitori, o almeno non nel modo tradizionale. «Nel carcere di Lecce è rinchiuso un uomo – racconta uno dei membri della rete Dire che raccoglie i centri antiviolenza sulle donne – che ha ucciso l’ex moglie e la successiva compagna. Quest’uomo riceve spesso visita da una ragazza: è la figlia che ha avuto dal primo matrimonio». Giusto? Sbagliato? Le categorie tradizionali stentano a inquadrare il problema.
Nella maggior parte dei casi, i tribunali dei minorenni affidano questi bambini ai parenti più prossimi, quasi sempre i nonni. Ma non è detto che siano quelli materni, il caso Parolisi insegna. Alla rete Dire conoscono il caso di un bambino affidato ai genitori paterni perché, a giudizio del giudice, l’affidamento alla parte materna della madre avrebbe fatto crescere il minore in un clima di astio nei confronti della parte paterna. La discrezionalità è massima, in assenza di regole.
Ma a volte anche l’affidamento ai parenti prossimi non è possibile. Il figlio di Rosi Bonanno, la donna uccisa a Palermo dall’ex convivente Benedetto Conti, verrà dato in adozione. I genitori di Rosi, infatti, sono considerati troppo anziani e poveri dalla legge italiana perché possano occuparsi del bimbo, che ha compiuto due anni il 12 luglio.
Ancora un caso dai Centri antiviolenza, questa volta nel Milanese. I tre figli della coppia sono stati divisi. La ragazza più grande, quasi maggiorenne, è stata presa in carico da una nipote della vittima, che aveva già due figli. Gli altri due sono stati affidati ai nonni materni, ma i due anziani hanno chiesto, dopo un anno, di trovare un’altra soluzione: avevano problemi economici gravi.
In Italia non esiste alcuna legge che tuteli economicamente gli orfani di femminicidio. Qualche timido passo è stato fatto in Basilicata, con la proposta – presentata nel 2011 – di istituire un fondo regionale. Ma i tempi sono lunghi. Nel caso di Michela Fioretti, l’infermiera dell’ospedale Grassi di Ostia uccisa sulla Ostiense dall’ex marito guardia giurata al termine di un inseguimento, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti ha assicurato che presto ci sarà «una legge regionale per garantire il diritto allo studio delle due figlie». Ma sono tentativi sporadici, non organici.
«Anni fa mi sono occupata di un femminicidio avvenuto a Napoli – racconta la dottoressa Baldry – La coppia aveva una figlia e un figlio piccoli. Siamo andati a vedere a distanza di anni come si era evoluta la loro vita: la ragazza era finita nel giro della prostituzione ancora minorenne, il ragazzo era entrato nella criminalità».
Problemi economici, nessun supporto psicologico, totale discrezionalità dei giudici minorili: in Italia c’è un’altra categoria di vittime del femminicidio su cui tutti tacciono. Sono un esercito. E sono le più fragili.
La Stampa 06.08.13