Quando si interviene sulla sentinella della Costituzione, l’art. 138, c’è sempre il rischio che si voglia aggredire il tesoro che custodisce. Era questa la preoccupazione che con altri colleghi avevo manifestato quando è iniziato l’iter di modifica costituzionale. Non abbiamo nascosto le nostre perplessità sia sul ruolo del Parlamento che sull’ampiez- za del mandato a intervenire. Ma grazie al la- voro compiuto insieme ai gruppi del Senato e con la disponibilità del governo, l’esame di questo disegno di legge costituzionale, che vo- teremo a settembre, può iniziare con grande serenità.
Possiamo essere sereni perché il ddl costitu- zionale, pur derogando ad alcuni aspetti del 138, non ne intacca i principi e, anzi, ne raffor- za le garanzie prevedendo, comunque, il ricor- so al referendum anche nel caso in cui le rifor- me possano essere approvate con la maggio- ranza dei due terzi. E soprattutto perché è sta- ta assicurata e rispettata la centralità del Par- lamento. Si è tornati al metodo costituziona- le: quello di interventi puntuali, sui singoli og- getti delle riforme da fare e da affidate a diver- si progetti di legge, tra di loro coerenti, ma distinti e autonomi e sui quali si potrà even- tualmente chiedere ai cittadini di esprimersi con i diversi referendum.
In questo lavoro siamo stati molto attenti alle voci critiche che si sono levate in queste settimane. Voci sensibili, competenti, direi quasi innamorate della nostra Carta costitu- zionale. Non siamo sordi né distratti agli ap- pelli, alla raccolta delle firme. Abbiamo ascol- tato tutte le sensibilità costituzionali. È assolu- tamente positivo il forte coinvolgimento delle associazioni, dei cittadini e la mobilitazione dei mezzi di comunicazione. Ma al tempo stesso bisognerebbe forse evitare i toni allarmistici e un’enfasi eccessiva, che non tiene conto del lavoro paziente e delicato – perché delicato e prezioso è l’oggetto della nostra Carta costituzionale – che è stato fatto e che tradisce il principio di realtà. Penso a certe affermazioni, che personalmente ritengo anche offensive, come quelle tradotte nell’invito a firmare «contro il tentativo di stravolgere la Costituzione con il progetto della P2». Chi come me nel 2006 ha fatto una battaglia in difesa della Carta accanto a Oscar Luigi Scalfaro e Leopoldo Elia e ha vinto un referendum, avverte in questo atteggiamento qualcosa che non aiuta ed anzi ostacola il percorso che dovremmo fa- re insieme. Penso anzi che tra le voci più sensibili e le impostazioni culturali più legate alla nostra Costituzione e chi sarà impegnato in Parlamento dovrebbe stabilirsi un’alleanza vera e profonda, affinché la nostra fatica di revisione sia davvero rispettosa del metodo costituzionale. Non dividiamoci, noi che pensiamo che la nostra sia la Costituzione più bella del mondo.
Un atteggiamento di ostinata conservazione nei confronti della Carta costituzionale non serve al Paese e per non serve alla Costituzione. Vale la pena, allora, ribadire lo spirito con il quale il Pd intende muoversi in Parlamento. Prima di tutto, dobbiamo ribadire ancora una volta che nel rapporto tra governo e Parlamento è essenziale ristabilire una corretta gerarchia. Non c’è dubbio che questo governo e la maggioranza che lo sostiene sono stati il presupposto per avviare il processo di revisione costituzionale, basta rileggere i discorsi del presidente della Repubblica e quello pronunciato dal presidente del Consiglio Letta al momento della fiducia.
Una maggioranza quanto più è ampia e inedita, tanto più deve essere consapevole del proprio limite. Il Parlamento è il luogo delle riforme perché in Parlamento ci sono le maggioranze, le opposizioni e le minoranze e la Costituzione si cambia, con metodo costituzionale, tutti insieme. Al tempo stesso bisognerebbe liberarci da atteggiamenti di strumentalità reciproca. Non si può dire «facciamo le riforme perché così dura il governo» o «non facciamo le riforme perché così cade il governo»: è un modo di procedere irrispettoso della Carta costituzionale, il cui valore è superiore e prescinde dal governo. Ma la Costituzione va riformata per renderne pienamente operanti i principi e il processo di riforma va avviato rispettandone lo spirito e la lettera. Per questo occorre procedere scegliendo la via della gradualità e della puntualità. Non dobbiamo iniziare questo lavoro con progetti troppo ambiziosi, affrontando temi sui quali già in partenza vi sono distanze profonde tra le diverse forze politiche, con il rischio che anche questa volta non vedano la luce quelle riforme sulle quali esiste da tempo una larga condivisione. Penso all’abolizione del bicameralismo perfetto, alla riduzione del numero dei parlamentari, al rafforzamento dell’esecutivo, alla revisione del Titolo V. Dobbiamo seriamente riformare le istituzioni, renderle più forti, autorevoli ed efficienti.
Chi crede nella centralità del Parlamento vuole un Parlamento funzioni, chi vuole davvero una forte democrazia parlamentare deve concepirla con un governo che può decidere e che perciò va rafforzato. Sappiamo bene che ciò non dipende solo dalla Costituzione, e però dipende anche dalla Costituzione. E se non interveniamo per superare le disfunzioni del nostro sistema assisteremo ad una mutazione genetica dei principi della Carta costituzionale, con una involuzione verso forme populiste, plebiscitarie e leaderistiche. Per questo è essenziale stabilire un’intesa e un’alleanza con le voci e le sensibilità che in Parlamento e nel Paese sembrano più attente all’esigenza di restituire autorevolezza alle istituzioni, in un momento così difficile del rapporto tra politica e società. Se insieme faremo questo lavoro di intervento puntuale, graduale con metodo costituente dovremo anche impegnarci in una riforma ancora più profonda della politica, a cominciare dai partiti e da una nuova legge elettorale, per essere davvero all’altezza delle responsabilità che il momento così difficile richiede.
L’Unità 02.08.13