“Il vocabolario di Grillo e il nulla oltre l’iperbole”, di Sara Ventroni
Il J’accuse è travestito da tormentone estivo. Ma non funziona. Per scongiurare il terrore panico del distacco vacanziero, Grillo cala l’asso del «colpo di stato d’agosto», sperando di dare un senso alle notti insonni del Parlamento. Ma nessuno rilancia l’allarme. Nessuna allerta dei servizi segreti. Il suo post lascia il tempo che trova. Anche la base sonnecchia. Così, il titolo apocalittico finisce in coda al gossip balneare: implacabile, la stampa dà notizia della villa affittata da Beppe a 14mila euro la settimana. In pieno «colpo di stato». Niente di meno. Sono priorità che si sovrappongono, e non si escludono. Perché mentre dal blog si insinua una perigliosa sospensione della vita democratica, la vita deve andare avanti. Business is business. La verità è che nella mutazione antropologica degli ultimi mesi, qualcosa si è rotto. Il patto linguistico della nuova politica, orgogliosamente incendiaria, mostra le corde. Le metafore si sfilacciano, e i proclami marciscono sotto il solleone. ll nuovismo linguistico fa cilecca come un prodotto a scadenza, in attesa di un nuovo bagno di marketing. All’incipit apocalittico: …