Tra ventiquattro ore sapremo che ne sarà di Silvio Berlusconi. Se la Cassazione confermerà o meno la condanna a quattro anni di carcere e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per l’accusa di frode fiscale nell’affare Mediaset-diritti tv. Sarà una sentenza importante perché segnerà, in un modo o nell’altro, non solo il destino personale del Cavaliere ma anche quel- lo della sua creatura politica. Non a ca- so il Pdl sta vivendo con ansia crescen- te questo passaggio giudiziario.
Un passaggio che può essere dirompente per la natura e il futuro del centrodestra. È un sentimento comprensibile, al netto degli eccessi verbali e delle urla di guerra. Meno comprensibile è il tentativo di legare le sorti del governo Letta alla pronuncia della Suprema Corte o, in alternativa, di scaricare su altri – il Pd innanzitutto – la responsabilità di una scelta che è tutta drammaticamente sulle spalle di Berlusconi e dei suoi uomini. Bisogna essere chiari su questo punto. Non si può permettere ai «furbetti del cerino» di agire indisturbati, di cambiare abito tra una scena e l’altra volteggiando
prima come colombe e poi come falchi, in un gioco degli specchi nel quale si frantuma la realtà.
Le parole pronunciate ieri dal Cavaliere, in un’intervista con Libero poi parzialmente smentita, fanno parte di questa strategia di distrazione di massa. Io sono il buono, dice in sostanza, mai farò cadere il governo, vedrete che morirà per colpa del Pd che non accetterà di governare con un partito il cui leader è agli arresti. È un argomento provocatorio, nel senso letterale del termine. Una provocazione con la quale si cerca, in modo maldestro, di mettere in difficoltà l’avversario politico, allontanando da sé ogni responsabilità. Così però è troppo facile. E lo dimostrano le centinaia di dichiarazioni bellicose del gruppo dirigente del Pdl che, tra un «accanimento giudiziario» e un «uso
politico della giustizia», lasciano pendere sul governo la spada di Damocle di una sentenza considerata da tutti il frutto avvelenato di una «patologia». Quando a questa guerra partecipa anche chi nel centrodestra è più sensibile a un’evoluzione democratica di quel partito, vuol dire che c’è poco da sottilizzare: è il Pdl a considerare il 30 luglio, cioè domani, il giorno del giudizio, dopo il quale nulla sarà come prima.
È il Pdl, insomma, a non voler mantenere la separazione tra la vicenda politica e la questione giudiziaria e quindi tenere distinti il destino del governo da quello personale del suo capo. L’esecutivo guidato da Letta, e sorretto da questa stranissima maggioranza, è nato non per dirimere le controversie nei tribunali (ci mancherebbe altro), ma per uno
scopo ben diverso, che riguarda la salvezza del Paese, sia dal punto di vista economico che da quello istituzionale. Non c’è stato, né mai poteva esserci, alcuno scambio tra il via libera al governo e un presunto salvacondotto a Berlusconi. Queste sono fantasie complottiste che eccitano le penne del Fatto quotidiano o l’ego dichiaratorio dei teorici del grande inciucio e che servono solo a infuocare il web o ad accrescere i follower su Twitter. Inutile quindi girarci attorno o lasciarsi abbagliare: la sentenza di domani riguarda interamente il Cavaliere e il suo partito. Anzi, soprattutto il suo partito. Che dovrà decidere, una volta per tutte e persino al di là del pronunciamento della Cassazione, che cosa vuole fare da grande. Se restare ancora attaccato al suo padre-padrone e seguirlo nella deriva del partito personale e patrimoniale, oppure se rompere gli ormeggi e provare a costruire una forza politica che guardi di più alle capitali europee e meno alle luccicanti stanze di
Arcore. L’aria che tira va nella prima direzione, purtroppo, e porta con sé persino il ritorno al passato di una Forza Italia riverniciata. Ma questa, e non un’altra, è la questione centrale.
Chi rispetta lo Stato di diritto e il ruolo della magistratura deve accettare la sentenza di domani, qualunque sia l’esito. Noi ci atterremo, come sempre, a questo principio. E quindi, se la condanna di Berlusconi venisse confermata, la sentenza andrà eseguita in tutti i suoi aspetti. Non esistono scorciatoie o soluzioni politiche, come sperano nel Pdl o come si aspettano, per poter gridare allo scandalo, i giustizialisti di casa nostra. Il Parlamento ha l’obbligo di prendere atto della pronuncia della Cassazione e, senza alcun rinvio o tentennamento, ratificare l’interdizione del Cavaliere dai pubblici uffici e quindi la sua decadenza da senatore. La legge è uguale per tutti, e non ci può essere uno più uguale degli altri anche se si chiama Silvio Berlusconi.