Una sconcezza che insudicia da sempre il nostro Paese è lo scambio politico-mafioso. È sacrosantamente giusto, perciò, pretendere che lo si contrasti in modo efficace. La norma che attualmente punisce tale scambio (art. 416 ter codice penale) risale al 1992. Fu approvata dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio e tuttavia fin da subito si rivelò come un imbroglio. Perché colpisce soltanto il caso – alquanto raro – del politico che offre denaro “pronta cassa” ai mafiosi in cambio di appoggio elettorale, mentre restano impuniti i casi, assai più frequenti, del politico che stringe il patto per fornire informazioni, appoggi, favori, concessioni, assunzioni, autorizzazioni ecc. È dunque da vent’anni ormai che si chiede di por fine all’imbroglio ampliando la previsione di legge alla erogazione di “denaro o altra utilità”. Proprio tale formula è stata finalmente inserita nel nuovo testo del 416 ter recentemente approvato dalla Camera dei deputati con la soddisfatta e convinta adesione dei più.
ALLA VIGILIA della definitiva approvazione in Senato, però, ecco scatenarsi improvvisa (senza che nulla l’abbia mai fatta presagire durante la discussione alla Camera) una tempesta di polemiche. Perché il nuovo testo (insieme alle tanto attese “altre utilità”) ha introdotto anche altre modifiche, che a giudizio di alcuni severi commenti potrebbero addirittura comportare un arretramento rispetto all’attuale imbroglio.
Premesso che un arretramento non è proprio possibile, perché sotto lo zero non si può andare, il rischio è di perdere un’occasione preziosa per fronteggiare meglio il laido mercato dei voti mafiosi. La denuncia di un simile rischio è stata vistosamente presentata come “rivolta dei pm”, anche se di pm in servizio sembra ve ne siano pochini. Ciò non toglie che contro la nuova norma si sia schierata una vera e propria “corazzata” di autentici e ineccepibili antimafiosi: Cantone, Casson, Capacchione, Saviano, Ciotti, Travaglio… Dissentire anche solo parzialmente da loro non è facile, per l’autorevolezza indiscussa che li contraddistingue. Ma per quel che vale, la mia opinione è invece proprio di relativo dissenso.
L’obiezione principale al nuovo testo è che esso non parla più di “promessa di voti”, ma di “accettazione di procacciamento di voti”, per cui – si dice – occorrerà provare che i voti sono effettivamente arrivati e sarebbe una probatio diabolica cioè impossibile. A me sembra però che l’accettazione del procacciamento possa intendersi come cosa concettualmente diversa dall’effettivo procacciamento, nel senso che “accettare” significa accordarsi perché il mafioso si attivi; e una volta provato l’accordo non occorre poi provare anche l’effettivo “ritorno” di esso in termini di voti. In sostanza, non mi pare che ci sia una gran differenza fra “accettazione” e “promessa”. In ogni caso, decisiva – come sempre – sarebbe poi l’elaborazione giurisprudenziale in sede di applicazione della nuova norma, e la lettura più rigorosa sarebbe certamente favorita dai “lavori preparatori”, i quali, come si sa, hanno un ruolo importante nell’interpretazione delle nuove leggi e nel caso di specie sono davvero chiari e univoci (segnalo in particolare l’intervento del deputato Davide Mattiello, relatore alla Camera sul nuovo 416 ter, il cui “pedigree”, maturato sul campo con l’impegno di una vita, gli consentirebbe di prendere posto – a pieno titolo – su qualunque “corazzata” antimafia).
UN’ALTRA critica riguarda l’avverbio “consapevolmente” che deve caratterizzare l’accettazione, perché – si sostiene – nel paese dei politici che si nascondono dietro lo scudo “a mia insaputa” la consapevolezza è diventata una chimera. Ma già oggi, anche senza avverbio, le collusioni coi mafiosi devono essere provate anche in punto “consapevolezza” scavalcando la loro cronica tendenza a cadere dal pero di fronte alle contestazioni. E in ogni caso, sul piano strettamente tecnico-giuridico l’avverbio non mi sembra dannoso ma piuttosto ultroneo, nel senso che essendo il delitto doloso la consapevolezza è strutturale a esso anche senza esplicitarla nel testo normativo.
Infine, si sostiene che l’entità delle pene previste con la nuova norma potrebbe avere ripercussioni negative per l’accusa su alcuni processi in corso: mi mancano al riguardo elementi precisi di conoscenza per prendere posizione, ma se l’obiezione fosse fondata ecco un punto certamente da rivedere. Concludendo: come sempre, tutto si può e si deve discutere, preferibilmente nei tempi giusti e non in zona Cesarini, proponendo eventualmente mirati e specifici emendamenti. Senza innescare bagarre che rischiano di inceppare tutto e di lasciarci di nuovo al palo (il vecchio, inutile imbroglio del 416 ter), impedendo ogni sia pur relativo progresso.
Il Fatto Quotidiano 26.07.13