Trasformare dal 2014 le Province in enti di secondo livello con funzioni ridotte, istituire le città metropolitane, sfoltire la giungla di oltre 3.200 enti indipendenti. Questi gli obiettivi del disegno di legge «svuotapoteri», approvato dal Governo, che prevede risparmi per un miliardo. Trasformare dal 2014 le Province in enti di secondo livello con funzioni ridotte all’osso. Istituire le città metropolitane attese da 20 anni. Razionalizzare le unioni di comuni. Sfoltire la giungla di oltre 3.200 enti intermedi. Sono le quattro gambe del disegno di legge che è stato varato ieri dal consiglio dei ministri e che si aggiunge al Ddl costituzionale licenziato il 5 luglio scorso. Con il fine esplicito di conseguire almeno un miliardo di risparmi nel giro di un paio d’anni. A detta del ministro degli Affari regionali, Graziano Delrio, che è il principale artefice del provvedimento.
Il testo in 23 articoli che ha ottenuto il disco verde del Cdm ricalca quanto anticipato nei giorni scorsi su questo giornale. La sua ragione sociale è racchiusa nell’appellativo scelto dall’esecutivo per presentarlo: «Svuotapoteri». Oltre a rispondere all’emergenza creata dalla sentenza 220 della Consulta (che ha cancellato il riordino delle province varato in due step dal governo Monti, ndr) il testo punta infatti a riorganizzare l’assetto istituzionale del nostro Paese. Lasciando due soli livelli di governo eletti dal popolo: le regioni, con funzioni programmatorie, e i comuni con compiti amministrativi. E trasformando le Province in un ente con lo stesso nome e gli stessi confini geografici attuali, ma con molte meno attribuzioni (solo pianificazione dell’ambiente, dei rifiuti, della rete scolastica e gestione delle strade). E con una natura di secondo livello: il presidente sarà eletto da e tra i primi cittadini. Sarà affiancato da un consiglio formato da tutti i sindaci dei municipi con oltre 15mila abitanti e dai presidenti delle unioni con una popolazione di 10mila unità. A meno che lo statuto non preveda la loro elezione sempre di secondo livello. A questi si aggiungerà l’assemblea di tutti i sindaci. Fermo restando che nessuno dei soggetti in questione percepirà alcun compenso o indennità per l’attività svolta. Come precisato ieri dagli stessi membri del governo in conferenza stampa, questo sistema varrà fino alla riforma costituzionale che abolirà le province. E anche oltre, a meno che le regioni non decidano di organizzare diversamente la propria area vasta.
Ammesso che il Parlamento approvi il testo entro fine anno come auspicato dall’esecutivo, il riassetto delle Province sarà operativo dalle prime elezioni amministrative che interesseranno uno dei comuni coinvolti. Dunque dalla primavera prossima. Con qualche mese d’anticipo vedranno invece la luce le città metropolitane. Che a partire dal 1° gennaio 2014 prenderanno il posto delle province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. I primi sei mesi andranno dedicati alla stesura dello statuto tant’è che la loro nascita vera e propria viene fissata al 1° luglio. Anche in questo caso si tratterà di organi di secondo livello. Con alcune differenze però rispetto agli altri “enti di mezzo”: svolgeranno vere funzioni di area vasta in materia di programmazione e pianificazione dello sviluppo strategico, coordinamento, promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione; il sindaco metropolitano sarà il primo cittadino del comune capoluogo; i componenti del consiglio potranno essere scelti anche tra i consiglieri comunali e, dal 2017, anche a suffragio universale se nel frattempo sarà intervenuta una legge elettorale statale.
A differenza di quanto previsto nelle bozze precedenti su input del ministero delle Riforme viene previsto che nel periodo transitorio il presidente della provincia partecipi a pieno titolo alle riunioni del consiglio e non senza diritto di voto come immaginato in un primo momento.
Per i municipi poco propensi a essere rappresentati dalla città metropolitana c’è un salvacondotto: se un terzo dei comuni chiederà entro il 28 febbraio 2014 di restare nell’attuale provincia questa resterà in piedi. Un meccanismo che si ribalta per la capitale. Il comune di Roma sommerà le funzioni e la natura giuridica di città metropolitana ed entro quella data i municipi confinanti potranno chiedere di farne parte. Gli altri resteranno sotto la Provincia di Roma.
Completano i pilastri del provvedimento, da un lato, la razionalizzazione delle norme sulle unioni di comuni con la previsione di tenere fuori dal patto di stabilità quelle costituite da comuni con meno di 1.000 abitanti per gestire tutte le funzioni in forma associata. E, dall’altro, l’avvio del processo di potatura degli oltre 3.200 tra consorzi, agenzie ed enti intermedi sparsi lungo la penisola. Un intervento che andrà fatto su input delle regioni e le Province; altrimenti il governo potrà nominare uno o più commissari straordinari in caso di inerzia.
Il Sole 24 Ore 27.07.13