Sto scrivendo nel bel mezzo della notte. Mi trovo isolata dal mondo e lontana dai miei affetti in una casa di cui nessuno sa l’esistenza e che deve rimanere segreta. La zona è sorvegliata in ogni angolo da telecamere. Non scrivo da un carcere. Non è per un reato commesso che mi trovo qui ma per gli sbagli di un’altra persona, una persona che ritenevo mi amasse.
Sono chiusa qua dentro senza la possibilità di uscire né di ricevere visite, tutto questo per la mia sicurezza. Questa è la mia storia. Tutto ha avuto inizio circa un anno fa, quando, nel bel mezzo della mia ex spericolata vita è apparso lui: Mario. Come tanti ragazzi della nostra età ci siamo innamorati e abbiamo dato inizio alla nostra storia d’amore. Almeno così la vedevo io, noi ci amavamo anche se lui era molto geloso. Sotto la sua crescente pressione ho cancellato tutte le mie foto perché se no lui si incazzava, così pure i numeri di telefono degli amici maschi. E ancora non bastava per lui. Ho dovuto cambiare numero di cellulare per evitare che i miei amici mi chiamassero, non parlare più di uomini nemmeno con le mie amiche. Tutto mi sembrava sopportabile pur di essere felici insieme e far andare bene la nostra relazione.
Poi sono iniziate le botte. Potevano scattare per gelosia così come per paranoie che lui si ficcava in testa (come che lo tradissi, che parlassi male alle sue spalle, che gli nascondessi qualcosa) o perché ero egoista e tirchia, come diceva lui, perché non gli sistemavo i vestiti o non usavo la mia paga per soddisfare i suoi desideri.
Anche un’uscita se non avveniva sotto sua auto-
rizzazione comportava pugni, tirate di capelli, sputi e una miriade di insulti e minacce (anche di morte). Tutto è accaduto molto gradualmente e Mario è stato un maestro nel dosare con me dolcezza e attenzioni a momenti di prevaricazione e violenza.
Così a ogni nuova umiliazione io mi ritrovavo sempre più legata a lui, inizialmente per amore e perché, scioccamente, ero convinta di poterlo cambiare e poi, con il tempo, per la paura che le sue continue minacce e le botte avevano incastonato in me. Per sapere tutto ciò che ho vissuto e sopportato ogni giorno della mia vita da un anno a questa parte (sto parlando di violenza fisica, psichica, economica e sessuale) basterebbe leggere il verbale della mia denuncia, che contiene gran parte degli episodi di violenza da me subiti.
Sì, perché io ho denunciato il mio ragazzo, la persona che credevo a me più vicina, e l’ho fatto per salvarmi la vita, per non essere una di quelle tante ragazze uccise dai propri compagni le cui storie occupano due minuti nei notiziari o vengono raccontate ad “Amore criminale” mentre le loro famiglie, impotenti, sono straziate di dolore.
Ma non sto scrivendo per commuovere o perché cerchi commiserazione. Sto scrivendo perché sono incazzata e indignata.
Pensate di farvi una gita allo zoo. Pagate il biglietto, entrate e vi mettono in una gabbia come si deve, dotata di sbarre, serratura e lucchetto e vi sbattono in mezzo a un luogo popolato di leoni che vi gironzolano attorno affamati.
Assurdo, si dirà. È il predatore che deve stare in gabbia per non nuocere alla gente e non le persone che si devono segregare mentre il leone se ne gira beato per la città mietendo vittime. Beh, è quello che è stato fatto a me. Io ho chiesto aiuto alle persone a me più vicine (essendo limitata in tutto), e per fortuna loro hanno parlato con la polizia e i servizi sociali. Risultato? Un giorno sono uscita dalla casa in cui vivevo con Mario per far visitare il mio cane dal veterinario e, una volta scappata, ho finto la mia scomparsa. Lo stesso giorno due educatrici mi hanno presa, con solo quello che portavo addosso, e portata qui in gran segreto. Oggi non sto scrivendo perché un’altra storia possa essere raccontata per intrattenere la gente. Sto scrivendo perché questo è l’unico modo per far sentire la mia forza, la mia voglia di ribellarmi contro questa situazione che mi è capitata ma che capita ogni istante a migliaia di donne come me.
Sto alzando la mia voce perché anche altre persone abbiano il coraggio di scappare e denunciare i loro aguzzini ma ancora di più perché spero che le forze dell’ordine accolgano queste richieste di aiuto e non rimandino le vittime nelle mani dei loro torturatori.
Ma questo non è possibile se lo Stato non si mette dalla nostra parte e non fa finalmente una legge (già presente negli altri paesi dell’Ue) che punisca i veri colpevoli e non noi vittime. E se non saranno i ministri a farlo dobbiamo essere noi a farci sentire per avere diritto ad una vita da esseri umani e non da prigionieri.
La mia vita è cambiata per sempre. Spero che, grazie a questa mia testimonianza, possa cambiare in meglio la vita di tante donne come me.
Per motivi di sicurezza abbiamo concordato con l’autrice di omettere il suo vero nome
La repubblica 27.07.13
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