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“Rating e democrazia”, di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini

Il recente declassamento del nostro Paese ad opera di Standard & Poor’s costituisce una prova ulteriore della contrapposizione tra i mercati finanziari e le politiche economiche dei Paesi in recessione. I mercati vengono pesantemente influenzati dai giudizi emessi dalle agenzie di rating: spesso si tratta di vere e proprie scomuniche che hanno l’effetto di condizionare l’azione dei governi i quali ne attendono trepidanti le sentenze. Mai prima d’ora si era verificata una condizione di soggezione politica così umiliante. L’attesa spasmodica del giudizio delle agenzie di rating assume i tratti di un imperscrutabile destino e rivela fino a che punto è stata compromessa la sovranità politica delle democrazie.
Le sentenze emesse da queste agenzie vengono presentate all’opinione pubblica come se fossero giudizi oggettivi e neutrali, ma la realtà è tutt’altro.
In primo luogo perché il settore del rating è dominato da un oligopolio anglo-americano costituito dalle tre sorelle Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch le quali possiedono un potere di mercato enorme. E poiché esiste uno scontro di grandi proporzioni tra il Vecchio Continente e il mondo capitalistico anglosassone che non aveva per nulla gradito la nascita di una nuova moneta che è entrata in concorrenza con il dollaro, sorge spontaneo il sospetto che i giudizi emessi da queste agenzie siano assolutamente di parte: le valutazioni negative sul rischio dei titoli di debito dei Paesi europei in difficoltà possono avere conseguenze molto pesanti sulla tenuta dell’Unione monetaria europea e sulla sopravvivenza dell’euro.
In secondo luogo perché nel ciclo di crescita precedente alla crisi del 2007/2008 le agenzie di rating avevano incoraggiato l’espansione di un indebitamento privato assolutamente irragionevole (vedi i mutui subprime) che aveva alimentato un’inflazione finanziaria chiaramente insostenibile. Tutto ciò traeva origine dal fatto che i colossi del rating sono segnati da pesantissimi conflitti di interesse in quanto S&P, Moody’s e Fitch hanno come azionisti fondi e banche che utilizzano le valutazioni di rischio per investire o per emettere obbligazioni. Si tratta di una situazione che da sempre solleva sospetti poiché è convinzione diffusa che le agenzie di rating abbiano assegnato voti troppo benevoli alle cartolarizzazioni dei mutui americani proprio per “coltivare” i propri clienti.
In terzo luogo perché i giudizi delle agenzie di rating vengono utilizzati in modo strumentale dalla Germania per fare pressione sui governi dei Paesi in recessione. L’ossessione tedesca per il risanamento delle finanze pubbliche viene sostenuta dalle agenzie di rating che orientano le decisioni dei mercati finanziari i quali continuano ad operare indisturbati nonostante la crisi che essi stessi hanno provocato. Siamo arrivati al paradosso che questi mercati, che poi non sono entità metafisiche ma grandi concentrazioni di potere, dopo essere stati salvati dall’intervento pubblico, si sono rivoltati contro gli Stati che costituiscono gli anelli più deboli della catena sabotando le politiche per il rilancio dell’economia. E così, mentre l’espansione del debito privato della fase precedente veniva assecondata senza battere ciglio, oggi la crescita del debito pubblico viene punita implacabilmente.
I giudizi emessi dalle “tre sorelle del rating” hanno dunque pesanti conseguenze sia sul piano economico che su quello politico. In questo periodo di crisi sono assolutamente vitali delle politiche economiche espansive che, però, richiedono tempi relativamente lunghi per dispiegare i loro effetti. Ogni prospettiva di rilancio della domanda viene sdegnosamente respinta in nome dell’austerità. Eppure tutti sanno che se durante una recessione si fanno delle manovre restrittive si manda a picco l’economia.
Occorre fermare questa situazione non solo perché non consente di promuovere un nuovo ciclo di crescita ma anche e soprattutto perché mette a rischio la sovranità politica
dei sistemi democratici.

La Repubblica 26.07.13

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