Sarà necessario tornare più estesamente sulla motivazione con cui la Corte costituzionale argomenta l’illegittimità del modo in cui la Fiat ha inteso applicare l’art.19 dello Statuto dei lavoratori. Ma già a una prima lettura il ragionamento della Corte appare ineccepibile e di ampio respiro.L’intera ricostruzione effettuata dalla Corte è volta a censurare un comportamento la cui pretestuosa strumentalità appare ovvia già al senso comune. È mai possibile che in uno Stato di diritto, la cui Costituzione si fonda sui grandi principi di uguaglianza e libertà sindacale, un sindacato che gode di un ampio consenso tra i lavoratori venga escluso dai diritti sindacali e che gli stessi lavoratori aderenti a quel sindacato perdano il diritto a costituire una rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro perché quel sindacato, da sempre partecipe delle relazioni contrattuali, rifiuta di sottoscrivere uno specifico contratto collettivo? Evidentemente no. Eppure è questo ciò che ha voluto la Fiat quando la Fiom-Cgil non ha siglato i contratti dell’era Marchionne.
Ed è appunto l’illegittimità e la stessa assurdità di questo comportamento che ora la Corte censura inappellabilmente. La Fiat infatti aveva fatto leva su una interpretazione pedissequa dell’art. 19 dello Statuto, come modificato da un referendum del 1995, secondo il quale il diritto a costituire rappresentanze viene riferito ai «sindacati firmatari di contratti collettivi applicati in azienda». Il paradosso è che quel referendum intendeva estendere il campo di applicazione di quella norma. La sua applicazione letterale invece comporterebbe una plateale restrizione del diritto: ne deriverebbe una vera e propria «sanzione del dissenso», come puntualmente rileva la Corte. Perciò si conclude che quel comportamento viola gli art.2, 3 e 39 della Costituzione. Nella motivazione la Corte ricostruisce l’intera vicenda normativa in oggetto, richiamando le molteplici sentenze che hanno riguardato l’art.19 nella sua originaria versione e in quella attuale.
Ne emerge il filo di una continuità concettuale di indubbia coerenza. Viene in particolare richiamata la sentenza con cui si dichiarò l’ammissibilità del referendum del 1995, ricordando come già in quella occasione la Corte avesse avvertito della impossibilità di applicare il nuovo art.19, come ritagliato eventualmente dal referendum, vuoi in senso espansivo, attribuendo il diritto alle Rsa anche ai sindacati non rappresentativi che siglano i contratti per pura acquiescenza, vuoi in senso restrittivo, escludendone i sindacati che non sottoscrivono il contratto pur essendo rappresentativi «nei fatti e nel consenso dei lavoratori». Ora l’argomento viene ulteriormente sviluppato osservando come sia inammissibile ammettere privilegi ai sindacati «in ragione del rapporto contrattuale col datore di lavoro» e «non in ragione del rapporto con i lavoratori». Sicché la Corte pur limitando la censura di incostituzionalità dell’art 19 alla formula «in quanto non si applichi anche ai sindacati che hanno partecipato alle trattative», con una sentenza necessariamente di carattere additivo, dichiara comunque l’illegittimità di «ogni accordo ad excludendum». Da ultimo la Corte rinnova l’invito al legislatore, già ripetutamente formulato in passato, a introdurre nuove regole della rappresentanza sindacale, in coerenza con l’art. 19 della Costituzione. Questa è forse la parte più feconda della pronuncia costituzionale, diretta a sollecitare i protagonisti delle relazioni sindacali a voltare pagina e a definire un sistema compiuto di regole del gioco. Cosa che in buona parte è già avvenuto con gli accordi interconfederali unitari del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013, che costituiscono il punto di riferimento essenziale per avviare una nuova fase dell’azione sindacale nella grave situazione di crisi economica e sociale che il Paese sta attraversando. Di questo c’è bisogno, non di recriminazioni né, tanto meno, di arroganti dichiarazioni che sembrano voler condizionare le strategie industriali all’esistenza di leggi pro domo sua e riproporre una antistorica visione dell’impresa come dominio privato legibus solutus.
L’Unità 23.07.13