Ricordo come fosse ieri quel 19 luglio del 1992, quando appresi dell’uccisione. Erano trascorsi poco meno di due mesi dalla morte di Falcone e l’Italia perdeva nuovamente un valoroso magistrato, un fedele servitore dello Stato. Paolo Borsellino ha sacrificato la sua vita perchè la nostra fosse migliore; ha vissuto e lavorato per la giustizia, considerandola non solo una professione, ma prima di tutto una missione. Oggi voglio ricordare non solo il magistrato con il quale ho avuto la fortuna di lavorare, ma anche l’uomo che ho avuto il privilegio di conoscere e di apprezzare nelle sue qualità più intime e personali.
Ricordo benissimo l’anno in cui conobbi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: era il 1979. Ero stato chiamato a collaborare al maxiprocesso e mi sentii onorato e emozionato, perché sapevo che da loro avrei imparato tanto. Delle numerose giornate passate a studiare gli atti non posso dimenticare l’affetto e il sostegno di Paolo, il suo entusiasmo, la tenacia con la quale affrontava ogni giorno il suo lavoro, pur sapendo che questo gli sarebbe costato la sua stessa vita.
Per me è stato un grande maestro, sempre prodigo di suggerimenti e di chiarimenti, sempre motivato ad andare avanti con la serenità di un cittadino
comune. Il profumo della sua terra di Sicilia, il calore della gente che iniziava a venir fuori dal guscio di omertà, rap- presentavano per lui linfa vitale. In quegli anni, il lavoro di Falcone e Borsellino ebbe il grande merito di creare una rivoluzione culturale, di smuovere gli animi e le coscienze di tutti coloro che non era- no più disposti ad accettare passivamente la presenza della mafia.
I cittadini iniziarono a capire che era necessario andare avanti nella lotta alla mafia, senza fermarsi di fronte alle inti- midazioni e alle paure. La magistratura si impegnò a dimostrare all’opinione pubblica che la possibilità di cambiamento, di salvezza, era reale e concreta.
Le parole che Paolo Borsellino pronunciò a un mese esatto dalla morte di Falcone, e a pochi giorni dalla sua, sono tuttora un monito per tutti, a partire da noi che sediamo in quest’Aula. Parlando, presso la Biblioteca comunale di Palermo, delle vittime di mafia e del suo caro amico Giovanni disse:«Sono morti per tutti noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera: facendo il nostro dovere; rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che potremmo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia; troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano più innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli; accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito; dimostrando a noi stessi ed al mondo che Falcone è vivo».
Questa è la grande eredità che Paolo ci ha lasciato. A distanza di 21 anni, in Sicilia, come in Italia, c’è una maggiore consapevolezza sociale e politica del problema. Molti sono i successi ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata, molte le sfide ancora da affrontare. Questo é il compito cui tutti noi siamo chiamati, questo l’impegno al quale dovremo tenere fede in nome delle promesse pronunciate dinanzi ai corpi martoriati di Paolo e di Giovanni.
A tutti noi, come membri di questa istituzione rappresentativa, spetta il compito di promuovere le riforme necessarie per dare al Paese concrete alternative all’illegalità e alla sopraffazione. La lotta alla mafia non può essere solo una battaglia di ideali: dobbiamo intervenire sulle condizioni di sviluppo, sulla capacità dei territori di attrarre investimenti e risorse professionali, dobbiamo dare ai magistrati gli strumenti tecnico giuridici e le risorse per combattere la mafia anche attraverso la repressione dei reati correlati, a partire da quelli di corruzione, falso in bilancio, riciclaggio e autoriciclaggio. Dobbiamo sottrarre un’intera generazione di ragazzi che non studiano e non lavorano alle lusinghe del crimine e del potere.
Alla vigilia di questo anniversario, il Senato ha approvato all’unanimità la legge istitutiva della Commissione Parlamentare Antimafia, riconoscendo l’urgenza di dare subito al Parlamento un’importante strumento di indagine e di intervento. E’ un segnale che accende la speranza che il Parlamento possa fare la sua parte nella ricerca della verità e un, seppur piccolo, significativo contributo alla memoria di Paolo.
Nei giorni scorsi la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la modifica dell’articolo 416-ter sullo scambio elettorale politico mafioso, dando una risposta ai circa 275.000 cittadini che hanno firmato la campagna “Riparte il futuro”, promossa da Libera e sottoscritta da deputati e senatori di tutti i gruppi parlamentari. Per dare un ulteriore segnale positivo e un ulteriore con- tributo alla memoria delle vittime della mafia, ho provveduto ad assegnare alla Commissione Giustizia del Senato in se- de deliberante il testo approvato dalla Camera, in modo da riuscire, con la stes- sa sensibilità e la stessa celerità dimostrata ieri, ad approvare definitivamente la modifica del 416-ter prima della pausa estiva.
Solo se sapremo dare risposte concrete alle sfide che la lotta alla criminalità e la ricerca della verità ci pongono potremo dire di aver onorato la memoria di Agostino Catalano, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Vin- cenzo Li Muli e di Paolo Borsellino.
*Stralcio del discorso del presidente del Senato nell’aula di Palazzo Madama
L’Unità 20.07.13