Ambiente e salute, da una parte; lavoro e profitto, dall’altra. Non sono, o non dovrebbero essere, valori contrapposti, alternativi, antagonisti. In una moderna democrazia economica e industriale, occorrerebbe anzi una “santa alleanza” fra imprenditori e operai per conciliare la difesa dell’ambiente e della salute con la tutela del lavoro e quindi di un legittimo profitto.
Ma purtroppo da Torino a Porto Marghera fino a Taranto, passando per la pianura padana, spesso la realtà non corrisponde a questa visione dell’interesse generale. Fabbriche che inquinano l’aria e l’acqua; diffondono sul territorio amianto, benzopirene, diossine e polveri sottili; minacciano sia l’ambiente sia la salute dei lavoratori e dei cittadini, realizzando così un arricchimento illecito con le risorse sottratte alle normative sulla sicurezza e agli obblighi di legge. E la stretta della crisi economica non favorisce evidentemente un’assunzione di responsabilità che comporta oneri e costi, spingendo le imprese verso più agevoli e convenienti delocalizzazioni all’estero.
Per cercare di contrastare questa pericolosa deriva nazionale, è sceso in campo nei giorni scorsi il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, leader di “Sinistra Ecologia e Libertà”. A un anno dall’approvazione dell’inedita legge regionale sulla “Valutazione di danno sanitario”, votata all’unanimità il 17 luglio 2012 sulla scia del disastro ambientale dell’Ilva di Taranto, e in vista della decisione del Tar di Lecce chiamato a pronunciarsi sul ricorso di sei aziende tra cui Eni e Edipower, il governatore pugliese ha inviato una lettera aperta al presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Con questa iniziativa, Vendola sollecita un confronto con l’associazione degli industriali e auspica “una svolta coraggiosa quanto indispensabile” sulla compatibilità ambientale del nostro sistema produttivo.
“Non basta – scrive fra l’altro il presidente della Regione Puglia, riprendendo i contenuti fondamentali della sua legge – essere in regola con quei limiti emissivi degli inquinanti che sono elementi convenzionali e non verità scientifica: bisogna essere in regola nei confronti del diritto alla salute e del diritto alla vita, che sono beni di rango costituzionale”. E qui il richiamo è agli articoli 32 e 41 della nostra Carta: il primo, sulla tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo e della collettività”; il secondo, sul riconoscimento della libera iniziativa privata e sull’esplicita prescrizione che questa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.In attesa di un riscontro da parte del presidente Squinzi, la prima risposta è arrivata intanto dal governatore della Toscana, Enrico Rossi, che ha definito la proposta di Vendola “condivisibile” rimettendola alla Conferenza delle Regioni; mentre la Cisl di Puglia – pur apprezzando lo scopo dell’iniziativa – ha invitato ad “abbassare i toni”. Ora si tratta, in pratica, di estendere su scala nazionale la normativa sulla Valutazione di danno sanitario che contempla misure di mitigazione, vigilanza e controllo: altrimenti, come sottolinea lo stesso Vendola nella lettera, la legge “rischia di rendere meno competitivo il territorio pugliese rispetto a tutte le altre regioni”. Ma quello che – in forza di un voto unanime e bipartisan – vale per l’Ilva di Taranto, non può non valere anche per tutte le altre imprese. Solo un “patto fra i produttori”, allora, può stabilire attraverso un confronto pubblico equi criteri di compatibilità fra le attività produttive e la salute collettiva.
La Repubblica 19.07.13