Il sistema Parmigiano Reggiano fa quadrato. E resiste ai colpi – pur durissimi – inferti poco più di 13 mesi fa dal sisma che ha squassato l’Emilia-Romagna. Il tipico formaggio emiliano era diventato un prodotto simbolo del terremoto: 600mila forme cadute a terra, 37 caseifici di Modena, Reggio Emilia, Bologna e Mantova danneggiati, per un conto totale di 200 milioni di euro (dati Coldiretti). Il lavoro di una vita per persone come Oriano Caretti, titolare insieme al fratello dell’azienda di famiglia, a San Giovanni in Persiceto (Bologna), che, all’indomani delle scosse del 20 e 29 maggio 2012, si è ritrovato il magazzino quasi completamente distrutto. Tra i resti delle “scalere” crollate, le tipiche scaffalature dove riposano le forme, danni stimati per ben 5 milioni e mezzo di euro.
RIALZARSI, DOPO IL COLPO
Giorni terribili, per Caretti e i suoi («non li voglio rimuovere, ma sicuramente cerco di non pensarci»), che però si sono rimboccati le maniche ed sono subito ripartiti. Tappe forzate: la produzione non si è mai fermata, ma il crollo del magazzino ha costretto l’imprenditore a rivolgersi ad altri stagionatori per conservarla. «Da Parma a Canneto sull’Oglio, nel Mantovano, fino a Pievepelago: ho portato il mio formaggio parecchio in giro – continua Caretti -. Ma ora diciamo che è di nuovo tutto a casa, in un magazzino realizzato secondo le più moderne norme antisismiche». In questo periodo, l’agricoltore ha toccato con mano gli «effetti collaterali» del disastro. A cominciare dalla solidarietà: «Ci hanno sbalordito le richieste arrivate dopo il sisma – ricorda -, da singole persone, aziende, attività commerciali, associazioni. Ci hanno contattato anche italiani all’estero, spiace non aver potuto accontentare tutti. Il grazie più grande va ai volontari: c’erano persone che avevano appena perso la casa, eppure erano qui ad aiutarci». Una corsa all’acquisto che ha complessivamente portato alla vendita di un milione di chili, nei territori di produzione del Parmigiano, con l’iniziativa «Campagna amica». Ci sono anche «pochi sciacalli» che ci hanno provato, «offrendosi di sgomberare tutto per due euro al chilo…». Negli ultimi mesi il braccio di ferro più desolante è stato con l’assicurazione, che ha una stima dei danni molto inferiore. Con le istituzioni è andata meglio: «È appena arrivato l’ok della Regione a risarcire quanto non coperto dall’assicurazione, non dubito che i soldi arriveranno».
MA LA PAURA RESTA
Certo che, da allora, la paura non ha mai abbandonato queste terre. «Le ultime scosse in Lunigiana le abbiamo sentite anche qui – spiega Andrea Nascimbeni, presidente del Caseificio Quattro Madonne, che ha 4 sedi tra Reggio e Modena -. Ora abbiamo la certezza che il magazzino non crollerà perché è stato ricostruito con tutti i crismi antisismici, però la paura c’è sempre, in qualsiasi momento». Nascimbeni è a capo di una cooperativa che riunisce 44 soci, aziende di varie dimensioni che producono dai 300 ai 20mila quintali di latte l’anno. Complessivamente, vengono realizzate 170 forme di parmigiano al giorno. Il terremoto del 29 maggio ha provocato 7 milioni e mezzo di danni tra prodotto (18mila forme cadute) e immobili. «A fine anno avevamo ricostruito le scalere, e a marzo abbiamo ripreso la produzione al 100%, inaugurando il 2 giugno scorso il nuovo spaccio – continua Nascimbeni -.
L’assicurazione ci ha pagato in tempi rapidi, mentre di soldi pubblici, nonostante la nostra richiesta di risarcimento sia stata accettata, non ne abbiamo ancora visti. E non siamo gli unici, in questa zona: ci vorrebbero più fatti e meno parole». La difficoltà maggiore è stata la mancanza di liquidità per pagare il latte ai soci che, avendo aziende agricole vicine all’epicentro, erano stati direttamente colpiti, «e a danno si è aggiunto danno». La solidarietà, anche in questo caso, non è mai mancata: «Grazie ai tanti gruppi di acquisto che ci hanno aiutato, non abbiamo mai pensato seriamente di chiudere l’attività – chiude il presidente del Caseificio Quattro Madonne -, anche se questo è significato non fermarsi nemmeno un giorno, anche a Capodanno: il latte, si sa, lo devi lavorare tutti i giorni».
L’Unità 19.07.13