L’ateneo migliore d’Italia è Siena. Il giudizio reca l’autorevole firma del Censis e si trova nella Grande Guida Università che esce domani con Repubblica per aiutare gli studenti a scegliere la laurea giusta. Il voto di 103,4 su 110, infatti, non lo colloca solo al primo posto della sua categoria, quella di medie dimensioni, ma al vertice assoluto in Italia. Per il rettore Angelo Riccaboni è «una grande soddisfazione, dopo anni di difficoltà economiche che stiamo risolvendo con tanti sacrifici. Anche perché dimostra che mettere al centro dei propri sforzi gli studenti alla fine conviene sempre ». Un’attenzione ripagata: gli studenti che provengono fuori dalla Toscana sono più della metà, a testimonianza dell’attrattiva accademica di Siena. «Comunque non abbiamo aggiustato il bilancio solo tagliando », puntualizza il rettore, «ma anche con iniziative che portano ricavi. Come Med Solutions, la nostra rete che fa parte del programma dell’Onu Sustainable Development Solutions Network
«In pratica, mettendo a frutto l’attenzione che dedichiamo all’ecocompatibilità, con Med Solutions aiutiamo a individuare le soluzioni di sviluppo sostenibile più adatte a raggiungere gli obiettivi della Conferenza di Rio, con la responsabilità del coordinamento per l’area del Mediterraneo».
La classifica che premia la qualità dell’ateneo di Siena tiene conto di quattro grandi indicatori: Servizi (mensa e alloggio). Borse e contributi, Strutture (aule e biblioteche), Web e Internazionalizzazione e anticipa quella più dettagliata sulle singole aree disciplinari. Dove quest’anno c’è una grande novità. A causa della riforma Gelmini, infatti, il Censis ha dovuto rifare le sue valutazioni secondo nuovi modelli. Università anno zero, quindi. «La cancellazione delle Facoltà e la riorganizzazione dell’offerta formativa in base ad altre logiche», spiega Roberto Ciampicacigli, direttore del Censis Servizi che realizza il ranking ormai da quattordici anni, «ci ha costretto a modificare la struttura della valutazione ». Così quest’anno la Grande Guida propone una classifica delle lauree Triennali divisa in Didattica e Ricerca, dove la Didattica, quella che interessa di più i ragazzi che devono iscriversi, è organizzata nelle 15 Aree disciplinari in cui sono state raccolte le 47 classi di laurea istituite dal ministero dell’Università. Per fare un esempio, l’area economico- statistica raggruppa i corsi di laurea in Scienze dell’economia e della gestione aziendale, Scienze economiche e Statistica. La classifica della Ricerca, invece, segue le aree disciplinari stabilite dal Consiglio universitario nazionale (Cun) a questo scopo. Sembra complicato? Effettivamente lo è, ma così lo ha voluto il ministero.
I risultati mettono in luce un primato di Bologna, con 6 primi posti (più 1 nelle lauree a ciclo unico, 2 secondi e 2 terzi posti), seguita da atenei come Padova, che primeggia fra l’altro nelle sei lauree a ciclo unico con ben tre primi posti (Farmacia, Veterinaria e Odontoiatria), Siena, Trento. «In effetti», conferma Ciampicacigli, «benché queste classifiche non possano essere confrontate a quelle degli scorsi anni a causa della revisione dei parametri, i poli di eccellenza didattica continuano ad emergere. Un dato importante è che se un’università è forte nell’Internazionalizzazione, quasi sempre si trova in alta classifica ». In questo anno zero, insomma, la bontà delle valutazioni del Censis ne esce confermata. Tra i risultati apparentemente curiosi c’è il primo posto di Sassari nell’area Architettura, davanti ai Politecnici di Milano e Torino e allo Iuav di Venezia. Ma anche in questo caso è una falsa sorpresa: il valore di Sassari è ben noto da tempo e registrato negli anni scorsi. Confermata anche l’ormai storica latitanza del Sud nei vertici delle classifiche, con l’eccezione dell’ateneo calabrese di Arcavacata di Rende (provincia di Cosenza), secondo nella categoria Grandi.
Ciampicacigli sottolinea che «ci vorrà del tempo per abituarsi a questo nuovo sistema, come dimostra il fatto che gli studenti continuano a ripetere di essere iscritti “alla facoltà di Lettere” o “alla facoltà di Legge”, anche se le Facoltà ufficialmente non esistono più». D’altra parte molti atenei presentando l’offerta formativa usano ancora la parola “Facoltà” e metà dei quarantuno atenei pubblici è in mezzo al guado della riforma: dovranno completare il passaggio entro il 2014. Ma al posto delle Facoltà che cosa c’è? Per complicare ulteriormente le cose, il ministero ha fissato solo le linee guida, lasciando agli atenei la scelta della “governance” del nuovo sistema. Quindi sono nati Dipartimenti, Scuole, Aree…
«Proprio per non fare confusione », spiega Riccaboni, «a Siena abbiamo deciso di dividere l’offerta formativa per aree tematiche e corsi di studio. In fondo allo studente importa poco che facciano capo a Dipartimenti, Scuole o ad altro ancora». Anche se riconosce che questa riforma è stata particolarmente complessa, il rettore crede che «il cambiamento dovrebbe avere diversi vantaggi, perché mette sotto un unico organismo didattica ericerca e semplifica i processi decisionali. Noi per esempio siamo passati da 43 Dipartimenti e 9 Facoltà a 15 Dipartimenti.
Un altro vantaggio è di aver accorpato le lauree in maniera più omogenea. L’esempio lampante è la facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali: un ircocervo che metteva insieme biologia, matematica, fisica, geologia, informatica; queste materie adesso sono più correttamente divise fra Area scientifica e Area Geo-biologica.
«Questo è il momento più difficile », nota Andrea Cammelli, del consorzio universitario Almalaurea, «perché il nuovo sistema convive ancora con il vecchio e questo rende ancora più complicato fare delle scelte che, come nel caso della laurea, potranno avere un impatto determinante sul futuro dei ragazzi. Tanto più che è difficile spazzare il campo da tanti luoghi comuni. Si dice, per esempio, che abbiamo troppi laureati in materie umanistiche, ma i dati dicono che in Italia i laureati nell’area umanistica sono solo il 22 per cento del totale, mentre in Germania sono il 31 e negli Stati Uniti il 29. Speriamo che la confusione non contribuisca a deprimere l’interesse dei giovani per la laurea. Anche perché c’è un problema ancora più grave: purtroppo oggi solo il trenta per cento dei diciannovenni si iscrive all’università, con una quota crescente di giovani provenienti da famiglie benestanti, con il rischio che l’università torni a essere un privilegio dipendente dal reddito. L’Italia si conferma il fanalino di coda dei paesi Ocse per numero di laureati. Altro che ripresa: questo sì che è tagliare le gambe allo sviluppo».
La Repubblica 18.07.13
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IL RATING FA BENE ALLA RICERCA, di GIUSEPPE ROMA
La ricerca scientifica esce dalla retorica e diviene concreto strumento per riattivare il processo di crescita economica e occupazionale nel nostro Paese. Dopo anni di valutazioni delle performance del sistema universitario realizzate da Repubblica e Censis, ora anche le istituzioni si apprestano a utilizzare il rating per finanziarie le università. Giustamente, infatti, il Ministro Maria Chiara Carrozza, ha recentemente affermato che i cittadini (e aggiungerei anche le imprese) traggono vantaggio dall’attività di ricerca se si spende bene e si sostiene chi merita.
Valutare i risultati, la produttività e l’impatto innovativo della ricerca serve, quindi, a favorire le migliori idee, le più elevate competenze, la creatività dei ricercatori, rafforzando la comunità scientifica, a danno di una certa burocratizzazione, pur presente in questo comparto, e che finora ne ha ridotto l’efficacia.
Dalla Guida dell’Università emerge, quest’anno, un elemento di novità rappresentato dalla propensione a intendere l’Università come un grande laboratorio d’idee e di innovazione, tanto da ottenere ottimi risultati in campi di ricerca anche molto differenti fra loro. Quindi, oltre che dagli squilibri territoriali, le migliori performance derivano dall’organizzazione, dalla motivazione e da una particolare “atmosfera” che si “respira” nel singolo insediamento universitario. Prendiamo ad esempio Trento nelle prime posizioni come ricerca sia nell’area delle scienze politiche, sociali e giuridiche che in quella delle scienze matematiche e informatiche, dell’ingegneria industriale e dell’informazione. O anche l’Ateneo di Padova che primeggia nell’ingegneria civile ma anche in scienze economiche e statistiche. E ancora Ferrara ai primi posti nelle scienze dell’antichità e in biologia. Naturalmente un tale meccanismo di “fertilizzazione incrociata” vale per i centri di eccellenza più consolidati, da Milano a Torino, a Pisa. E costituisce anche un possibile modello di crescita per i poli ad alta specializzazione settoriale come l’Università della Tuscia nella ricerca per le scienze agrarie o di Roma Tre per le scienze della terra.
Valutazione e rating hanno consentito, pertanto, di selezionare le università facendo così “sgranare il gruppo” che fin quando è rimasto compatto, piatto e omogeneo, non ha offerto al Paese il contributo necessario a trasformare le idee in lavoro, i progetti in Pil, le intuizioni in
grandi scoperte.
(l’autore è direttore generale Censis)
La Repubblica 18.07.13