La crisi economica incide sempre più nella carne viva del paese, mette a dura prova famiglie e imprese, impone prezzi ormai insostenibili ai ceti più deboli. Ma le istituzioni democratiche appaiono impotenti. E la politica è come catturata in un labirinto di specchi, dove le figure e i propositi vengono deformati e capovolti, ma soprattutto dove la realtà – con i suoi conflitti, le sue diseguaglianze, le sue speranze – è drammaticamente separata.
Si potrebbe tornare sul caso delle due-tre ore concesse al Pdl per una fantomatica riunione del suo gruppo parlamentare, in luogo di quell’inaccettabile ritorsione contro la Cassazione, colpevole di aver fatto il proprio dovere nel processo Mediaset. Si potrebbe parlare delle assurde polemiche, fondate per lo più sull’ignoranza e sul falso, seguite alla presentazione della proposta Mucchetti in tema di conflitto di interessi. Ma, al di là del merito che ogni giorno affrontiamo sul nostro giornale, sono necessarie alcune considerazioni di fondo. Che riguardano il ruolo e gli affanni della sinistra, alla vigilia di un congresso del Pd molto importante. Che riguardano la missione del governo e le condizioni del suo agire. Che riguardano infine il rischio, elevato, di una vera e propria deriva sistemica, che ha apparenze anarchiche e populistiche ma una sostanza fortemente autoritaria.
Il primo punto è che Berlusconi oggi è debole, assai più debole del passato, benché sia ancora in grado di produrre danni gravi. Ha interrotto l’evoluzione democratica della destra, ha allargato le distanze con la famiglia popolare europea, è privo di una qualunque politica economica (salvo le sortite propagandistiche sull’Imu), non ha progetti di governo se non quello di partecipare pro-quota ad un patto di sindacato, ovvero ad un patto di potere. L’Aventino minacciato e poi ritirato non è un’idea dei «falchi»: è un’idea sua. Che rivela anzitutto paura. Il potere di condizionamento che esercita sul governo gli è stato conferito in primo luogo da Grillo, il finto innovatore, l’uomo che scommette sulla distruzione, non della politica, ma dell’Italia. Avrebbe potuto, il Movimento Cinque stelle, determinare un altro equilibrio in Parlamento. Ma ha deciso di rendere impossibile ogni soluzione diversa dalla maggioranza Pd-Pdl. Il nemico di Grillo è il Pd, non certo il Pdl, dalla cui forza residua pensa di lucrare una cospicua rendita di posizione.
È il gioco tipico delle leadership autoritarie. Il mito della spallata invece di un processo di innovazione e di riforma. La logica del tanto peggio tanto meglio, che porta infine a negare l’esistenza stessa della destra e della sinistra. Ne è testimonianza l’ulteriore con- vergenza tra Berlusconi e Grillo contro la
proposta Mucchetti, che cerca di regolare in modo serio e severo il conflitto di interessi in Italia. Nessuna obiezione sul merito: solo fuoco di sbarramento. Al Cavaliere interessa esclusivamente la dimensione proprietaria del partito e la tutela dei propri interessi porocessuali. Per Grillo la vera minaccia esistenziale è che il problema possa essere affrontato e risolto. Risolto vuol dire che si approvi una valida legge anti-trust non solo per Berlusconi, ma anche per il dopo Berlusconi. Meglio per Grillo inchiodare la politica sulla questione controversa dell’ineleggibilità, perché è irrisolvibile a meno di aprire un conflitto tra valori costituzionali primari. L’ineleggibilità è l’arma di Grillo contro il Pd, non certo contro Berlusconi.
In questo contesto è difficile governare. Tanto più se il governo poggia su una non-alleanza. Eppure l’Italia ha bisogno di un governo. Avrebbe bisogno che il governo Letta progettasse e portasse a termine la presidenza italiana dell’Unione europea nel secondo semestre del 2014. Avrebbe bisogno di riforme, nel senso di un rafforzamento della forma di governo parlamentare, perché non ci sarà legge elettorale capace da sola di assicurare governabilità con un sistema bicamerale perfetto. Avrebbe bisogno di un minimo di stabilità per provare a correggere le politiche europee in tema di lavoro e di investimenti.
Il Pd, la sinistra, non può mai mettere Maramotti l’Italia dopo i propri interessi di parte. Se lo facesse, la sua base si rivolterebbe molto più di quanto non ha fatto per i recenti errori in Parlamento. Tuttavia il governo Letta ha un limite invalicabile: il rispetto del Pdl per la seperazione dei poteri. Non potrà mai esser- ci mercato tra le istituzioni: i processi e le sentenze di Berlusconi riguardano lui e non la maggioranza. Se il Pdl li scaricherà sul go- verno, vuol dire che il governo cadrà. E non è detto che si precipiti a nuove elezioni.
Intanto il Pd dovrà avviare il suo congres- so. Che avrà un carattere rifondativo. Il Pd infatti non è chiamato solo a un rinnovamen- to politico e generazionale dopo la mancata vittoria elettorale: come dimostrano le polemiche di questi giorni, alcune delle quali tanto violente quanto strumentali, sta saltando il compromesso sul quale il Pd si è fondato. Si è appannata la sintesi tra i valori dell’Ulivo e l’idea di un partito nuovo, non è più scontata la prospettiva del Pd come ponte verso una nuova stagione democratica. Oggi sono cambiati i fondamenti di questa sfida. Ma non per questo c’è meno bisogno del Pd come frontiera moderna di una sinistra europea. Sarà il Pd capace di questo salto? O tutto si giocherà in una battaglia di potere per la leadership? La risposta non è scontata. E la responsabilità del Pd è grande, come dimostrato dalle ultime amministrative. Si può lasciare l’Italia nelle mani di Berlusconi o di Grillo?
L’Unità 14.07.13